Le notizie dal Tigray non arrivano; arrivano però i profughi in fuga da un conflitto di cui si sa ben poco. Nel nord dell’Etiopia la situazione umanitaria si sta aggravando, gli aiuti faticano ad arrivare. Cinque milioni di persone necessitano di assistenza secondo le Nazioni Unite ma il governo etiope ha appena espulso 7 funzionari dell’ONU accusandoli di ingerenza e suscitando la dura reazione del Segretario Generale, Antonio Guterres.

Quasi un anno fa (novembre 2020) le truppe governative etiopi avevano dato l’assalto alla regione su ordine del primo ministro Abyi Ahmed, premio Nobel per la pace. Da allora il conflitto si è allargato oltre i confini di quella regione, col rischio di destabilizzare un paese di oltre 100 milioni di abitanti e l’intera regione del Corno d’Africa di cui l’Etiopia costituisce (costituiva?) un bastione di stabilità.

In Tigray nell’ultimo anno sono state compiute pesanti violazioni dei diritti umani, come indicano diversi rapporti indipendenti. Le parti si accusano a vicenda, in un conflitto che vede coinvolta anche l’Eritrea: le sue truppe sono schierate contro le forze tigrine a fianco degli ex-nemici etiopi.

Resta da capire la reale proporzione delle sofferenze cui è sottoposta la popolazione locale. Che cosa sta accadendo in Tigray? Quali i reali bisogni della popolazione?

A Modem ne parliamo con:

• Giovanni Carbone, responsabile del programma Africa dell’ISPI e professore all’Università Statale di Milano;

• Elisabetta Trenta, ex-ministro della Difesa in Italia;

• Marco Viganò, docente all’Università di Addis Abeba;

• Davide Vignati (intervista registrata), capo della DSC in Etiopia;

In apertura, la testimonianza dall’Etiopia di un papà che non riesce a portare in salvo la sua famiglia, tuttora bloccata nelle zone del nord conquistate dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF).

Modem su Rete Uno alle 8.20, in replica su Rete Due alle 19.25. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSINews e RSIPlay