“Kasas” nelle lingue indoeuropee significava abitazione, rifugio ma anche curiosamente tappeto.
All’inizio dunque era una casa nomade, un perimetro che separava la polvere dallo spazio coperto, protetto e caldo; lo spazio in cui l’uomo poteva riposare, cercare sicurezza e serbare il minimo indispensabile per vivere. E se da un lato è sempre stata nido, spazio privato, luogo dell’intimità, dall’altro è anche luogo di ritrovo e di condivisione, di protezione dal mondo ma anche di socializzazione e interazione. Collegando abitazione con abitazione, tra spazi comuni e luoghi appartati, nei secoli l’umo ha creato delle comunità, organismi che respirano all’unisono con chi le abita. E il modo di abitare è nei secoli cambiato come è cambiato l’uomo e la società perché la casa racconta di noi, dei nostri valori e dei nostri desideri.
Con l’Arch. Massimo Mobiglia, docente e ricercatore presso l’SUPSI, con il Prof. Luca Molinari e con Felicia Lamannuzzi, Architetto e Presidente dell’associazione “Microcittà” ci chiediamo cosa significhi nel XXI° secolo il termine comunità, come si sia trasformata la vita di quartiere e che rapporti instauri con il territorio; e se tenga oggi conto dei bisogni individuali da un lato, della dimensione pubblica dell’abitare dall’altro. Come dunque ritessere la comunicazione tra chi costruisce e chi abita in un mondo che ha vieppiù perso la dimensione collettiva?
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