di Omar Gargantini
Due anni e mezzo sulla panchina della Resega, nel frattempo diventata Cornèr Arena ma sempre scomoda e bollente come poche, significano che Greg Ireland il suo lo ha fatto e anche meglio di chi su quella panchina era arrivato con un allure e un pedigree molto più importanti del suo. Accolto non a caso con scetticismo e diffidenza da una piazza che s’aspettava al solito il grande nome.
Uomo di sostanza, dai modi schietti e coerenti e poco incline ai compromessi, Ireland ha rimesso assieme i cocci di uno spogliatoio al solito inquieto e piano piano ha costruito un Lugano operaio e solidale, raramente spettacolare ma tremendamente efficace. Con pochi fronzoli insomma ma consapevole che con un super portiere e ferocia agonistica si sarebbe potuti arrivare lontano. Difatti ha raggiunto prima una semifinale e poi addirittura gara-7 della finale lo scorso anno in condizioni di emergenza, senza paradossi l’ideale per esaltare la sua filosofia.
Un picco anche un pochino casuale però e ingenuamente sopravvalutato, che ha spinto lui a credere che fosse l’unico modo per avere successo e la società a seguirlo ed assecondarlo. Già, perché col suo integralismo che abiura a prescindere i giocatori di talento, ma forte di quella finale, Ireland ha ulteriormente accentuato il suo essere tecnico di battaglia a scapito del gioco e col passare dei mesi usura e logorìo si sono impadroniti del gruppo: il Lugano - e Ireland con lui - è entrato in un tunnel senza via d’uscita e si è inaridito, uscendo di scena nei quarti senza lasciare traccia.
Un epilogo malinconico per chi voleva vincere, un epilogo fatale e inevitabile, tanto che il comunicato odierno è tutto fuorché sorprendente. Si volta pagina, ma chi arriva dovrà ricostruire su fondamenta e dopo un mercato già dettato da altri. Auguri.
NL, il commento di Piergiorgio Giambonini sul mancato rinnovo di Ireland a Lugano (19.03.2019)
RSI Hockey 19.03.2019, 19:57
Il Lugano hockey saluta Ireland
Il Quotidiano 19.03.2019, 20:00