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Eritrea, la voce del regime

Intervista esclusiva a Yemane Gebreab, consigliere del presidente Afewerki e direttore politico dell’unico partito politico dell’Eritrea

  • 20 settembre 2016, 14:31
  • 7 giugno 2023, 23:33
"Con la Svizzera il dialogo sta migliorando"

"Con la Svizzera il dialogo sta migliorando"

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Qual è lo stato delle relazioni tra Eritrea e Svizzera?

È ancora difficile e complicato ma il dialogo sta migliorando. Un certo numero di funzionari e di parlamentari sono venuti in Eritrea e ora c’è una migliore comprensione del paese.

La percezione all’esterno è un po’ diversa. Migliaia di giovani scappano dall’Eritrea perché dicono che lì non c’è futuro. Cosa risponde lei?

Se qualcuno di loro arriva in Svizzera, sa che cosa deve dire per ottenere il permesso di residenza o l’asilo politico. Se dichiarano di essere lì per avere un lavoro migliore, la Svizzera non concederà il diritto di rimanere. Perciò devono dire cose negative sul paese da cui provengono. Per ogni giovane che lascia l’Eritrea ce ne sono 20 o più che restano. Quelli che partono sono il 5%. Quindi per il 95% ci sono le possibilità per restare. Se si guarda alla Svizzera, arrivano persone da tutto il mondo, non solo dall’Africa ma da ovunque, perché pensano che la Svizzera offra loro migliori opportunità.

Ma lei che ha un ruolo di governo in Eritrea, non è preoccupato che il suo paese perda i giovani? Lei dice il 5%, ma secondo l’Onu sono almeno 4.000 persone ogni mese…

Mi aspetto che le persone – inclusi i giornalisti – verifichino il numero esatto di coloro che lasciano l’Eritrea, facile da trovare. Basta guardare le statistiche dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, che sono pubblicate ogni settimana e disponibili su internet. Nel 2016, indicano che 1.500 eritrei entrano ogni mese in Europa. Di questi, almeno un terzo si dichiarano eritrei ma non lo sono: sudanesi, etiopi…perché c’è un trattamento speciale per gli eritrei.

Di questo migliaio di eritrei, molti non arrivano direttamente dall’Eritrea ma da un altro paese di transito. Quindi i numeri sono diversi da quelli indicati dai media.

Ma sono comunque molto elevati. Le fa piacere che – secondo la sua stima – un migliaio di eritrei fugga ogni mese dal paese?

Certo, non ci fa piacere quando la nostra gente abbandona il paese. Se si guarda agli eritrei che arrivano in Svizzera e altri paesi, sono giovani e ben istruiti. Noi abbiamo investito molte risorse e denari su di loro. Non vogliamo che partano. È una perdita per noi. Stiamo cercando di creare la condizioni perché restino in Eritrea.

Ma bisogna capire che anche lavorando sodo nei prossimi 5-10 anni, ci vorranno molti anni per noi prima di arrivare al livello della Svizzera oggi.

La interrompo. Chi scappa non viene solo perché questi paesi sono più ricchi. Negli ultimi 8-10 anni, ho parlato con molti di loro: dicono di non avere le condizioni per restare. Per esempio, la leva militare a tempo indeterminato o le mancanza di libertà di espressione. Ci sono anche rapporti di organizzazioni internazionali – compresa le Nazioni Unite - che denunciano violazioni dei diritti umani in Eritrea. Non crede che tutto questo spinga le persone a fuggire?

No. Questo non significa comunque che non ci siano difficoltà sul fronte dei diritti umani in Eritrea. Tutti i paesi del mondo ne hanno, compresa la Svizzera. Ma la gente non scappa dall’Eritrea perché ritiene che i propri diritti siano violati.

E allora perché scappano? In Eritrea è fortemente limitato il diritto di espressione, e quello di opinione pure, visto che lei è il responsabile politico del Fronte popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ), l’unico partito autorizzato nel paese.

Questo non significa che le persone debbano scappare. Un solo partito…una sola televisione pubblica…questo non è un motivo per cui fuggono dal paese. Stiamo cercando di costruire un sistema politico in Eritrea. Ci vuole tempo e noi ce lo prenderemo. Ma questo non vuol dire che i giovani siano oppressi e che se ne vadano per questo. Gli eritrei che sono in Svizzera non sono oppressi, sono lì perché cercano migliori opportunità economiche.

Le dirò di più. Hanno abbandonato il paese, sì, ma per il paese non sono abbandonati. Ogni estate migliaia di eritrei tornano a casa per diversi motivi: visite alla famiglia, si sposano, avviano un’attività economica o comprano una casa…Se fossero oppressi e temessero per la loro vita, non ritornerebbero nel loro paese ogni estate.

La devo interrompere di nuovo. Migliaia di giovani eritrei sono riusciti a scappare pagando i trafficanti. Viaggi lunghi mesi rischiando di morire nel deserto o su un gommone per Lampedusa. Non era un biglietto aereo. Non avevano alternative. Molti dicono che se fuggono durante il servizio di militare, le loro famiglie sono minacciate….è vero?

No no…

Lei dice di no?

Non è vero. Persino chi è fuggito durante il servizio militare può tornare. Lasciamo stare la famiglia, non è questione della famiglia. Queste persone possono tornare.

Senza conseguenze?

Senza conseguenze…Possono fare rientro in modo temporaneo o permanente. Ma c’è un altro aspetto di cui abbiamo parlato spesso con la Svizzera e altri paesi.

Se la Svizzera è disposta a dare un permesso di residenza a chi in Svizzera ci è arrivato attraverso i trafficanti, il deserto e il Mediterraneo…perché invece non possiamo trovare un accordo con la Svizzera per permettere a un certo numero di giovani di prendere l’aereo da Asmara e arrivare a Ginevra o altrove e lavorare lì?

E cosa risponde la Svizzera?

Che non è possibile. Non l’ho chiesto nell’incontro di oggi, ma lo abbiamo chiesto un sacco di volte e non solo alla Svizzera, in modo che vengano in modo legale e sicuro. Ma questo non è possibile.

Persino se stai morendo e vuoi un trattamento medico in Svizzera, se vuoi studiare lì, se vuoi andare trovare tua madre, non puoi, non ti danno il visto. L’unico modo per raggiungere è attraverso il mare, rischiando la vita per andare prima in Italia e poi entrare in Svizzera. È l’unico modo.

Si, ma poi se anche uno arriva in Svizzera – dove c’è un’ampia, una grossa comunità - è costretto a pagare una tassa da versare a qualcuno che poi afferma di girarli al governo di Asmara. Lei può confermare l’esistenza di questo obbligo?

È la tassa per la ricostruzione, che riguarda tutti gli eritrei che vivono all’estero. Venne introdotta nel 1992 quando l’Eritrea combatté la guerra per l’indipendenza ed era un paese devastato. Dovevamo ricostruirlo. Da noi per 4 anni all’epoca la gente ha lavorato senza prendere il salario.

Per questo abbiamo chiesto alla nostra comunità della diaspora il 2% dello stipendio netto, così che gli eritrei all’estero abbiano tutte le responsabilità e gli obblighi degli altri eritrei che svolgono il servizio militare. Se non paghi le tasse non puoi avere i “privilegi” di ogni cittadino autorizzato come una licenza commerciale o l’acquisto di un terreno.

Ma se una persona denuncia il suo governo perché non ritiene che garantisca abbastanza libertà, di certo non paga volentieri le tasse.

Non è questo il punto. Se sei americano e hai dei guadagni all’estero, devi pagare le tasse, indipendentemente dal fatto che ti piaccia o no il governo. Se non le paghi, va in galera…in qualsiasi paese. Se sei cittadini di un paese e vuoi i tuoi diritti, devi pagare le tasse. Se non le paghi, non avrai i tuoi privilegi. Ma non prendiamo alcuna altra misura contro gli eritrei.

Può dirci qualcosa sulla situazione dei prigionieri politici. Quanti ne avete? La situazione potrebbe cambiare?

Non abbiamo prigionieri politici in Eritrea.

Non ne avete…E i giornalisti? Si sa che diversi a anni fa ne sono stati arrestati parecchi e poi non si hanno avuto più notizie di loro.

Non sono stati messi in prigione per il loro lavoro giornalistico.

E perché allora sono stati incarcerati?

Eravamo in guerra (contro l’Etiopia, ndr)…nel 1998-2000. Sono persone che hanno tradito il paese durante il conflitto e sono state responsabili per la morte di moltissime persone. Queste persone – a quel tempo – sono state imprigionate per tradimento e per motivi di sicurezza nazionale.

Questo conferma la percezione dall’esterno. Ma c’è qualcosa che lei ci può dire per farci capire che ci siamo sbagliati, o che tutti si sono inventati bugie e che dunque l’Eritrea è un luogo diverso da quello che si racconta?

La cosa migliore è venire per rendersi conto di persona. Chiunque abbia viaggiato in Eritrea, ti dirà la differenza tra quello che hanno letto prima e ciò che hanno trovato qui.

Diversi giornalisti hanno riferito di aver comunque subito in Eritrea limitazioni o gli è stato affibbiato un agente dei servizi segreti camuffato da guida turistica. Quindi non sarebbe una visita indipendente.

Ma no…ci sono un sacco di giornalisti svizzeri che sono venuti. Lei è libero di andare, muoversi e intervistare la gente come vuole.

Emiliano Bos

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