Analisi

Mosca e il terrorismo islamico, il secondo fronte di Putin

Con l’attentato alla Crocus City Hall si riapre una partita mai davvero chiusa dall’indipendentismo ceceno in poi - Prevedibile un’ulteriore stretta da parte del Cremlino

  • 23 marzo, 10:15
  • 26 marzo, 14:57
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Nell'attacco alla scuola di Beslan nel 2004 morirono 330 persone, fra cui 186 bambini

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Di: Stefano Grazioli

L‘attacco di Mosca alla Crocus City Hall e soprattutto la rivendicazione dell’IS, lo Stato Islamico, riaprono un vecchio fronte che Vladimir Putin negli ultimi venticinque anni, da quando era stato nominato primo ministro nel 1999 e dalla sua prima elezione al Cremlino nel 2000, non è mai riuscito veramente a chiudere: quello della lotta al terrorismo islamico sul suolo russo. Al momento, nonostante il bilancio della strage sia in continuo aggiornamento, alcune persone siano state arrestate e le informazioni ufficiali da parte delle autorità russe sulla matrice islamista non consentano di mettere la mano sul fuoco, proprio quest’ultimo punto sembra quello in realtà più sicuro.

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Una delle armi usate dagli attentatori a Mosca

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Da un lato c’è appunto la rivendicazione diretta da parte dell’IS, giudicata credibile, dall’altro ci sono le conferme indirette che sono arrivate prima di tutto dagli Stati Uniti, evidentemente in possesso di indizi concreti. Nelle scorse settimane Washington aveva dato l’allerta per possibili attentati a Mosca, pur senza rendere pubblici dettagli, e nella capitale russa l’FSB, i servizi segreti interni, avevano annunciato di aver sventato un attacco a una sinagoga da parte proprio di un cellula dell’IS. Quello alla Crocus City Hall non è arrivato quindi a ciel sereno.

Le radici del terrorismo

Il terrorismo islamico in Russia, che trova le sue prime radici nelle guerre indipendentiste in Cecenia e nei rapporti complicati tra centro e periferia nella prima transizione postsovietica, soprattutto tra Mosca e le varie repubbliche a maggioranza mussulmana della regione caucasica, ha appunto una storia lunga, che va di pari passo all’ascesa di Putin. L’elenco degli attentati, che in oltre due decenni hanno causato migliaia di morti, comincia in grande stile nel 1999, quando riprende vigore in Cecenia la ribellione islamista, guidata militarmente dal comandante ceceno Shamil Basayev e da quello arabo Ibn Al Chattab, e a Mosca muoiono oltre 200 persone nel crollo di due palazzi fatti saltare con esplosivo. Da allora ad oggi, centinaia di piccoli e grandi attacchi in tutto il Paese, quello più grave a Beslan, nell’Ossezia del nord, nel 2004, con oltre 300 vittime. La strage alla Crocus City Hall è quello più grave da vent’anni a questa parte.

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Shamil Basayev, leader indipendentista ceceno, morì nel 2006 in Inguscezia

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Sull’indipendentismo ceceno della metà degli anni Novanta si è innestato progressivamente il terrorismo islamico internazionale, da Al Qaeda fino alle varie diramazioni dello Stato Islamico, che hanno trovato dall’inizio degli anni Duemila terreno fertile nel Caucaso, con legami tra Afghanistan e Arabia Saudita. Il Cremlino ha sempre usato il pugno di ferro, prima intervenendo direttamente nei conflitti Cecenia, poi affidandosi nella più irrequieta delle repubbliche caucasiche a Ramzan Kadyrov, di fatto plenipotenziario con la benedizione di Putin e la licenza di combattere non solo i terroristi, ma anche i rivali interni, senza però riuscire a debellare il fenomeno. Se da un lato negli ultimi dieci anni lo Stato Islamico ha colpito raramente in Russia (nel 2016 a Mosca, 1 morto, e nel 2017 a San Pietroburgo, 15 morti), l’allarme per i servizi russi non è mai cessato.

Il contesto attuale

La guerra in Ucraina è per Vladimir Putin il fronte principale, ma la rivendicazione dell’IS riapre l’altro che non è mai stato chiuso. Due sono i problemi, legati fra loro, che il presidente russo fresco di rielezione deve così affrontare in relazione al massacro di Mosca: in primo luogo quello limitare la minaccia terroristica nei limiti del possibile, in secondo quello di reagire all’immagine di una Russia vulnerabile, colpita di nuovo proprio al cuore, nella capitale. Il duello tra Stato e terroristi è per definizione asimmetrico e in una città come Mosca, con 18 milioni di abitanti distribuiti su una superficie grande due volte il Ticino, garantire la sicurezza assoluta in ogni piazza, locale, bar, teatro e via dicendo è praticamente impossibile. Questo vale ovviamente non solo per la Russia, dove anche se la guerra in corso ha fatto stringere le maglie, i buchi restano. In questa prospettiva c’è da aspettarsi un ulteriore giro di vite sul sistema di controllo e repressivo, in senso lato, che verrà esteso a tutto il Paese.

L’attacco dell’IS ha inoltre mostrato, come era già successo negli scorsi due anni con gli attentati mirati con la regia dell’intelligence ucraina a Daria Dugina (autobomba a Mosca nel 2022) e a Vladlen Tatarsky (attentato a San Pietroburgo nel 2023) che obbiettivi di ogni genere, considerati o meno sensibili, possono essere colpiti e il messaggio destabilizzante per il sistema è che nessuno è al sicuro, né il normale cittadino, né il personaggio di spicco. Nel caso di autocrazie come quella russa, oltre tutto nella cornice di un conflitto in corso, gli atti di terrorismo portati a segno incidono sull’intero sistema molto più che nelle democrazie, con effetti prevedibili, ossia aumento della pressione da parte dello Stato, e imprevedibili, quindi destabilizzanti per la verticale del potere: è sulla previsione e la gestione di questi che si concentrerà a breve termine la replica del Cremlino.

Notiziario

Notiziario 23.03.2024, 09:00

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