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La fine del bipartitismo

In Gran Bretagna la base elettorale di laburisti e conservatori è stata erosa dai nazionalisti scozzesi e dagli indipendentisti di UKIP

  • 6 maggio 2015, 08:31
  • 7 giugno 2023, 08:13
Gli analisti sono convinti che ci vorrà tempo per conoscere il volto del nuovo inquilino del numero 10 di Downing Street, residenza ufficiale del premier

Gli analisti sono convinti che ci vorrà tempo per conoscere il volto del nuovo inquilino del numero 10 di Downing Street, residenza ufficiale del premier

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Una sola certezza anticipa le elezioni di giovedì: sicuramente il giorno dopo non si conoscerà il nuovo governo. Nè il premier né la composizione. Tutto può ancora succedere, anche se è già successo quello che doveva succedere. La frammentazione del voto ha messo in crisi i partiti tradizionali, ormai rassegnati a correre non per la maggioranza assoluta ma per prevalere nella corsa a due.

L’ascesa dei nazionalisti scozzesi e del partito indipendentista di Nigel Farage ha eroso la base elettorale di Labour e Tory che un tempo controllavano fino al 90% dei voti, e oggi superano di poco il 65%.

In Scozia il trionfo elettorale di Nicola Sturgeon è annunciato quanto atteso, almeno da chi aspetta una rivincita indipendentista dopo la sconfitta del voto referendario lo scorso settembre. Spostando il partito a sinistra, attirando il voto delle donne, la nuova leader dello Scottish National Party ha rilanciato le istanze autonomiste della regione. In campagna elettorale ha vietato di parlare di indipendenza, ma tornerà di stretta attualità un minuto dopo la chiusura delle urne. Secondo i sondaggi l’Snp potrebbe conquistare addirittura 50 dei 59 seggi scozzesi, prosciugando il bacino elettorale dei laburisti che cinque anni fa avevano vinto in 41 circoscrizioni oltre il Vallo.

“Potrà sembrare anche semplicistico, ma i Labour hanno commesso l’imperdonabile errore di allearsi con i Tory nella campagna per il no al referendum e gli scozzesi non gliel’hanno perdonato”, spiega il professor Gavin Gibbs, politologo dell’Università di Glasgow. Ed Miliband giura che piuttosto che un’alleanza con i nazionalisti scozzesi rinuncerà a Downing Street ma lo scenario più probabile, nel caso i Labour risultassero il partito più votato, è un governo di minoranza con l’appoggio esterno degli stessi Snp.

Come hanno già punito i laburisti, gli elettori scozzesi sarebbero spietati anche con l’Snp se questi contribuissero, anche solo indirettamente, a lasciare i conservatori al governo.

Geometrie (politiche) ancor più complesse a destra dove l’UKIP, dopo l’exploit alle Europee dell’anno scorso quando era risultato il primo partito, è comunque accreditato del 15%. A causa della ridistribuzione dei seggi attraverso il sistema maggioritario uninominale, però, Farage può sperare di guadagnare al massimo una manciata di deputati. Risultando irrilevante da un punto di vista strettamente parlamentare, ma decisivo nello sfilacciare il contingente Tory a Westminster.

Neppure la ripresa economica e il calo della disoccupazione hanno garantito a Cameron la riconferma sicura, intrappolato a destra dal radicalismo euroscettico dell’UKIP e a sinistra dai rimproveri (laburisti) per i drastici tagli alla spesa pubblica. Uno stallo che si riflette anche nelle previsioni degli bookies di sua Maestà: un Cameron bis, in coalizione con i Liberal-democratici, appare meno probabile (quotato 3) di un governo di minoranza a guida Labour (2).

Lorenzo Amuso

RG delle 12.30 del 06/05/2015; la corrispondenza di Silvia Piazza

Dal Tg20:

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