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Piccola guida al Dadaismo

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Manifesto Dadaismo

Torniamo indietro al 5 febbraio 1916. Siamo a Zurigo e un gruppo di impetuosi artisti sta per dare il via ad uno dei più rivoluzionari movimenti della storia dell’arte. In un caffè nel centro di Zurigo, aperto proprio quel 5 Febbraio, ci sono Hans Arp, Tristan Tzara, Hans Richter e altri pittori e fotografi; quasi tutti si sono rifugiati in Svizzera, nazione neutrale, durante la I Guerra Mondiale.

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In Svizzera questi artisti trovarono un terreno fertile, un luogo perfetto in cui esprimere in libertà il sovversivo concetto di arte che volevano portare avanti. A partire dal nome che avevano scelto: dada. Era stato Tristan Tzara, poeta rumeno, a trovare questa parola. Sfogliando un dizionario francese l’occhio gli era caduto proprio su dada, voce onomatopeica infantile per indicare la parola cavallo.

Al Café Voltaire di Zurigo le serate animate dai dadaisti cominciarono ad essere sempre più numerose e frequentate. Accorrevano fotografi, ballerini, pittori, poeti, cineasti in erba: tutti uniti dalla voglia di ribellarsi a tutti i canoni estetici imposti dall’arte classica, tutti a rivendicare una poetica anarchia infantile nel fare arte, uno spirito nuovo, diverso, che non si potesse imbrigliare in nessuna regola.

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Pur riconoscendo alle altre avanguardie artistiche, come il cubismo o l’astrattismo, il merito di aver iniziato un percorso, i dadaisti segnavano una rottura evidente con tutto ciò che all’epoca veniva considerato borghese per sfidare l’estetica classica a suon di provocazioni e rotture.

I dadaisti furono i primi a ribellarsi alla mercificazione dell’arte con le sculture deformi di Hans Arp, l’assurdità nelle poesie di Tzara, l’astrattismo cinematografico di Hans Richter, i ritratti meccanici di Francis Picabia.

In quelle serate intervenivano artisti come Marcel Duchamp, un pittore-fotografo capace di pasticciare la Gioconda di Leonardo disegnadole sopra baffi e pizzetto. L.H.H.O.Q questo il titolo della Monna Lisa rivista da Duchamp; una vera provocazione che critica quell’opera di Leonardo, considerata da dadaisti una delle peggiori del Da Vinci, che nasconde riferimenti alla mascolinità della modella del quadro, che ironizza, suggerisce, sibila e un po’ sobilla. Ma di Duchamp tutti ricordano soprattutto un’altra opera creata prima del Movimento Dadaista, un'opera famigerata mai esposta al pubblico e andata perduta, un capolavoro di sarcasmo e impertinenza. Duchamp aveva comprato un orinatoio e lo aveva trasformato in un'opera d'arte semplicemente aggiungendogli una sigla. Ben prima dei barattoli e degli oggetti comuni di Andy Warhol o dei noti escrementi di Piero Manzoni, Duchamp aveva aperto il vaso di Pandora; tutto era arte e niente era arte.

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Ma il Dadaismo, come detto, abbracciava fotografia, cinema, danza e qui una delle più straordinarie animatrici di quelle serate al Café Voltaire era la nostra Sophie Taueber. La donna raffigurata sui nostri 50 franchi. Ballerina, pittrice, scultrice, architetta; Sophie Taeuber rappresenta in pieno quello che era lo spirito dada, un’artista eclettica, una indipendente, uno spirito libero.

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Libero come il cinema di René Claire, sicuramente il più grande tra i cineasti che avevano abbracciato il movimento dadaista. Citiamo due film che davvero vale la pena recuperare; il primo si chiama Entr’acte, concepito come una pellicola da proiettare nell’intervallo di un balletto, rappresenta uno dei primi esempi di immagini accostate senza un significato ma accomunate da un senso/non senso estetico. O un Cappello di paglia di Firenze; un’opera quasi surrealista, che si svolge esattamente come un sogno. Inizia come una farsa senza alcuna logica e si tramuta nel finale, con un montaggio ossessivo e compulsivo, in un incubo. Abbiamo citato non a caso il Surrealismo, perché senza i Dada artisti come Salvador Dalì o René Magritte non avrebbero mai trovato un terreno così fertile per le loro oniriche sperimentazioni.

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RSI New Articles 05.02.2016, 17:39