Quanto succede a Gaza polarizza, non è un segreto. È difficile sentire voci che esprimano spontaneamente autocritica ed empatia verso l’altro. Eppure queste voci ci sono: nei giorni scorsi alcuni esponenti di associazioni ebraiche per la pace hanno firmato a Ginevra una lettera aperta intitolata “Non in nostro nome”.
Tra questi Ilan Lew, sociologo di formazione e autore di un libro sulla memoria della Shoah. È anche presidente del Circolo culturale ebraico Martin Buber. Lew ha firmato insieme ad altre personalità ginevrine la lettera che si distanzia dall’azione dell’esercito israeliano a Gaza: “Abbiamo voluto dire che questa situazione è totalmente insopportabile, che si può essere profondamente colpiti da quanto successo il 7 ottobre e nel contempo terrificati nel vedere come la situazione si deteriori con violenze e massacri terribili”.
Per Israele, ma anche per molti israeliani e associazioni ebraiche nel mondo, le azioni del Governo israeliano sono comunque necessaria per garantire la sicurezza del paese. Questo argomento non convince però i firmatari della lettera, secondo cui solo la pace può garantire la sicurezza: “Rifiutiamo una politica responsabile di tanti morti e feriti innocenti e gridiamo al mondo che questa guerra non è in nostro nome.
“Per noi era importante mostrare che ci si può staccare da una visione totalmente partigiana, cercando di rispettare non il Governo, non Hamas - che è un gruppo terrorista - ma i civili: ci sono stati troppi morti: è ora di smetterla”, continua Lew.
Far passare questo tipo di messaggio nella comunità ebraica non è facile, spiega ancora Ilan Lew. Insieme ad altre associazioni, il Circolo Martin Buber, continua però a organizzare eventi e manifestazioni mettendo in luce personalità ebraiche e palestinesi favorevoli al dialogo.
Israele fa i conti anche col dissenso interno
SEIDISERA 14.03.2024, 18:36