Cultura e spettacoli

Ciao Eduardo!

Lo scrittore uruguaiano Galeano è morto lunedì per un cancro ai polmoni all'età di 74 anni; un ritratto di Emiliano Guanella

  • 13 aprile 2015, 18:39
  • 4 settembre 2023, 23:48
Eduardo Galeano

Eduardo Galeano

  • keystone

Ti aspettava sornione, Eduardo Galeano, nel suo tavolo al Caffe Brasileiro di Montevideo. Nel cuore della città vecchia, a fianco della grossa vetrata da dove vedeva la gente passare e dove più di uno, nella capitale del piccolo grande paese dove tutti si conoscono, si fermava ed entrava a salutarlo. Ottimo posto per fare delle foto, pessimo per un’intervista, a causa del rumore di piatti e tazzine di caffè, ma poco importava. Politica e futbol, ma anche musica, donne, amici, passioni.

Mentre leggeva passaggi dei suoi libri, il più famoso è ''Le vene aperte dell'America latina'', in un incontro con studenti universitari in Messico nel 2012

Mentre leggeva passaggi dei suoi libri, il più famoso è ''Le vene aperte dell'America latina'', in un incontro con studenti universitari in Messico nel 2012

  • keystone

Galeano aveva una voce bellissima, da baritono e la sapeva usava per sottolineare le sue metafore sempre piene di fantasia. Ti guardava fisso con i suoi occhi azzurri da
galan, romantico avventuriero del Rio della Plata. La prima volta che l’ho incontrato è stato nel 2002, Montevideo si era svegliata una mattina con dei saccheggi in un supermercato e la cosa, molto più comune dall’altra parte del fiume a Buenos Aires, aveva scosso l’opinione pubblica di un paese abituato a fare i conti con la povertà ma restio a rassegnarsi all’indigenza. La nazione che per prima nelle Americhe pensò ad un sistema di Welfare State per i suoi cittadini, che legalizzò il divorzio ai primi del Novecento, ora viveva sulla sua pelle la catastrofe del neoliberismo selvaggio. “Hanno voluto trasformare questo paese – mi disse – in una spiaggia con banche. E così siamo finiti…”. Nel congedarmi tira fuori da uno zaino l’edizione italiana de “Il Libro degli abbracci” e mi fa una dedica con un piccolo disegno. “Una forma di continuare la nostra chiacchierata”.

L’ho incontrato una seconda volta alla vigilia della semifinale dei Mondiali di calcio in Sudafrica. La Celeste del maestro Tabarez, un altro che potrebbe essere tranquillamente un personaggio dei suoi racconti, aveva fatto un altro miracolo e si trovava ad un passo da una nuova finale dopo quella che segna ancora oggi la maggior impresa non solo calcistica dell’Uruguay. Parlammo di Obdulio Varela e del Maracanazo, ma anche del Chino Recoba che era tornato a fine carriera per incantare i tifosi del Nacional.

Foto di gruppo prima dell'intervista

Foto di gruppo prima dell'intervista

  • Emiliano Guanella

L’ultimo incontro fu per me un sollievo, perché abbandonammo il tavolino di legno del Caffe Brasileiro per la sua casa a Carrasco; casa semplice e piena di vita, dei ricordi di centinaia di viaggi per l’America Latina. Tra lo studio e il soggiorno, un’infinità di statue, di tele, di ricordi colorati, di quadre e targhe commemorative, sparse senza la pomposità delle onorificenze, ma avvolti dall’affetto e dei gesti di riconoscenza che gli arrivavano un po’ ovunque. Gli inviti, per lui non mancavano, ma negli ultimi anni viaggiava meno, pur non rinunciando a tornare all’amata Barcellona degli anni dell’esilio.

L'intervista ad Eduardo Galeano andata in onda nel 2014 in CultTv

RSI Cultura e spettacoli 13.04.2015, 20:11

Nello scambio di mail per concordare quella visita si scusava di non poter fare un giro per la città come avevamo inizialmente pensato perché era appena uscito da una trombosi e il medico gli aveva ordinato assoluto riposo. “Ma l’intervista la facciamo, concludeva, perché mi sono impegnato, llueve o truene” (che piova o tuoni). Alla fine gli ordini del medico non erano così tassativi e un giro sul lungofiume lo abbiamo fatto lo stesso. Il Rio della Plata era per lui il Mar dulce, una creatura bizzarra, “un fiume troppo grande che non riesce ad essere mare, un mare cocciuto senza acqua salata”.

Eduardo Galeano giocava con le storie e le parole, disegnava isole e ponti fra culture, ma i suoi racconti avevano sempre una storia dietro le spalle. Profondamente uruguaiano, figlio di emigrati e sempre pronto a partire, sapeva di essere un autore cult per generazioni di appassionati dell’America Latina, ma non ha fatto mai di questo un brand arrugginito. Viveva delle sue storie e le sue storie le condivideva con gli amici vicini e lontani. Ultimamente, era molto felice di vedere l’Uruguay al centro del mondo con un presidente ottuagenario capace di legalizzare la marijuana e concedere il matrimonio alle coppie omosessuali. L’anno scorso, durante i Mondiali in Brasile, aveva sperato in un altro Maracanazo, ma dentro di lui sapeva che non sarebbe successo; le storie impossibili accadono una volta sola.

Emiliano Guanella

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