Domenica 22 e Domenica 29 settembre 2024 ore 17:35
Con: Jasmin Mattei.
Musiche originali composte ed eseguite da Martin Schütz
Adattamento radiofonico e regia: Erik Altorfer
Presa del suono sonorizzazione ed editing: Thomas Chiesa
Produzione: Francesca Giorzi
Riascolta qui "Perché il bambino cuoce nella polenta"
Perché il bambino cuoce nella polenta (1./2)
Domenica in scena 22.09.2024, 17:35
Perché il bambino cuoce nella polenta (2./2)
Domenica in scena 29.09.2024, 17:30
Trasformare l’orrore in bellezza
Aglaja Veteranyi era una rifugiata in due sensi: la sua famiglia era fuggita dalla Romania del dittatore Ceaucescu, in seguito diventerà una rifugiata di classe, che si era sempre di più allontanata dal mondo dei genitori attraverso l’istruzione e la scoperta della letteratura. Il romanzo “Perché il bambino cuoce nella polenta” mostra la sua infanzia in una famiglia circense. Suo padre che era un clown di fama mondiale preferiva di gran lunga dirigere film trash dell’orrore e sua madre rischiava la vita sulla pista del circo sera dopo sera con uno spettacolare numero di capelli. La famiglia viveva isolata dall’ambiente circostante, in roulotte e camere d’albergo - lontani dal mondo borghese del loro pubblico, mai abbastanza lontani da sfuggire alla paura dei servizi segreti rumeni. La bambina era costantemente preoccupata per la madre e temeva di essere derisa dagli “altri”. Solo la sorella maggiore riusciva a tranquillizzarla raccontandole, in variazioni sempre nuove, la fiaba dell’orrore del bambino che cuoce la polenta. Negli ultimi anni, nel mio lavoro di autore e regista di radiodrammi, mi sono più volte occupato della rappresentazione della violenza: esperienze di guerra, fuga, violazioni dei diritti umani dei lavoratori stagionali in Svizzera, discriminazione scolastica.
Ho ritrovato molte delle strutture socio-politiche che caratterizzano questi temi in “Perché il bambino cuoce nella polenta”. Anche in questo caso, sono particolarmente interessato all’atto della scrittura, alla paternità delle persone colpite, alla trasformazione del trauma e delle esperienze di violenza in arte, “prendendo certe cose dalla realtà e creando così una nuova realtà”, come dice Aglaja Veteranyi, “cose che percepisco, che addomestico attraverso il linguaggio, cose che poi mi appartengono e mi danno forza, mi confortano”. Attraverso la sua tardiva educazione, iniziata tra l’altro imparando a memoria pagina per pagina un’enciclopedia per bambini, riesce a trovare un linguaggio e una forma di espressione a cui i suoi genitori non avevano accesso. Sua madre aveva immaginato un libro sulla storia della famiglia, suo padre voleva farne un film. Infine, con il suo primo romanzo, la figlia, reimmergendosi nella sua infanzia e “nel mondo in cui non c’era spazio per il divertimento infantile”, con una voce narrante ben distinta nella sua artificiosità da quella dell’autrice, riesce a creare “un’infanzia che non ho mai avuto veramente”.
Erik Altorfer