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Il mondo finisce a Calais

Il reportage tra le migliaia di migranti che cercano un futuro attraversando lo stretto della Manica - VIDEO

  • 21 agosto 2015, 06:27
  • 12 agosto 2023, 22:05

Migliaia di persone bivaccano nella "Nuova giungla" - di Ludovico Camposampiero

RSI Mondo 12.08.2015, 17:19

  • ludoC/rsi

La cronaca. Giovedì i ministri degli interni di Parigi e Londra hanno firmato un accordo per la gestione dei migranti a Calais. Tra i diversi punti decisi, figurano la creazione di un comando unificato destinato alla lotta contro le reti dell’immigrazione illegale e lo stanziamento di 10 milioni di euro (per due anni) da parte del Governo britannico. L'intesa è stata raggiunta dopo settimane di discussioni e polemiche. Nel frattempo, gli abitanti della cosiddetta New Jungle continuano ad attendere di attraversare la Manica. Leggi il nostro reportage.

Di Ludovico Camposampiero

Una piccola tenda in mezzo al campo. È blu, persa fra mille altre, lacerata dal vento e dalla pioggia. Dentro poche cose: bottigliette d'acqua, resti di cibo, scarpe consumate, vestiti logori ed un tappeto, di quelli che i musulmani usano per pregare. Del suo occupante neanche l'ombra. “È da un paio di giorni che non lo vediamo, forse ce l’ha fatta”, mi dicono alcuni degli accampati nella “New Jungle” di Calais. Battezzata così dai media e dai migranti stessi, la “New Jungle” è l’ultimo diaframma tra la realtà e il sogno: la Gran Bretagna.

Shalaw, 25 anni, iracheno, è appena arrivato. È uno dei quasi 5'000 disperati che bivaccano in quest’area di meno di un chilometro quadrato nella zona industriale, lontana almeno 5 chilometri dal centro città. Una città nella città. “ Mio padre – mi racconta - era un generale sotto Saddam Hussein e per questo è stato ammazzato. Vivevo a Kirkuk ma dopo l’avvento di Daesh (lo Stato Islamico, ndr.) sono scappato. Lì non c'è più niente per quelli come me. Sono solo, mia madre e le mie sorelle sono rimaste lì e non so se sono ancora vive”.

Arfen e Abbast: tre mesi per raggiungere Calais dall’Afghanistan

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Cercando l’Eldorado

Divisa dall'Europa continentale da una stretta lingua di mare, la Gran Bretagna rappresenta una sorta di Eldorado che garantisce facilità nell’ottenere asilo, welfare sviluppato e possibilità di trovare un lavoro.

Una Terra promessa sempre più difficile da raggiungere. David Cameron, il premier, ha promesso il pugno di ferro contro i clandestini e un netto giro di vite nella concessione dell’asilo. La Francia, dal canto suo, ha posato recinzioni con tanto di filo spinato e giornalmente le pattuglie della polizia presidiano l’accesso al terminal dell’Eurotunnel.

Tuttavia, centinaia di persone percorrono ogni notte i quasi 10 chilometri che dividono il loro accampamento dall’entrata della galleria per tentare di salire sui treni navetta. Destinazione: Dover. Giacca a vento contro il freddo, guanti per il filo spinato e kefiah sul viso per proteggersi dai lacrimogeni, uomini e donne corrono in gruppo lungo la ferrovia, incuranti degli “alt” della polizia schierata in tenuta antisommossa.

Qualcuno ce la fa. Qualcun altro viene riportato al campo. Qualcun altro invece muore nell’ultimo disperato tentativo di lasciarsi alle spalle guerra e povertà: almeno una decina dall’inizio dell’anno, travolti dai treni in movimento, precipitati dai cavalcavia o rimasti folgorati dai cavi dell’alta tensione.

“Non riusciamo più a gestire la situazione, siamo in una polveriera”: Claude Verri, del sindacato di polizia UNSA, non usa mezzi termini. La procedura? “Non c’è nessuna procedura – spiega alle decine e decine di giornalisti francesi e britannici venuti a documentare l’emergenza –. Ci limitiamo a prelevare le persone che tentano di accedere illegalmente al terminal e le riportiamo al campo. Se vogliono possono tentare la sorte anche più volte in un una sola notte.”

“Facciamo il possibile ma questo posto è un groviera”, aggiunge Verri. Un groviera di diverse centinaia di ettari.

I controlli di sicurezza al terminal sono stati rafforzati: ogni giorno lunghe code di camion si formano all’entrata del tunnel, causando importanti ritardi

I controlli di sicurezza al terminal sono stati rafforzati: ogni giorno lunghe code di camion si formano all’entrata del tunnel, causando importanti ritardi

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“Non ci arrenderemo finché non raggiungeremo l’Inghilterra”.
Jabba, siriano, giovane guida turistica, è determinato. “Non sostengo né Assad né i jihadisti. Vorrei solo la pace per il mio paese. Lo amo, se solo avessi potuto sarei rimasto a casa mia”.

Con lui Ahmed e Mohammed, entrambi di Aleppo, carpentiere il primo, medico il secondo: “Voglio andare in Gran Bretagna per terminare la specializzazione”, mi dice dopo avermi mostrato le ferite alle gambe, causate dalle interminabili marce lungo i Balcani per arrivare fin qui.

Le ferite di Mohammed

Le ferite di Mohammed

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Tra rabbia e solidarietà

Sono vent’anni che Calais è sinonimo di immigrazione clandestina: prima i kosovari e gli esuli dall’ex Jugoslavia, oggi gli africani ed i mediorientali.

Gli abitanti di questa cittadina di 75'000 anime esprimono sentimenti contrastanti nei confronti dei migranti, divisi fra compassione e rabbia. “Siamo una delle città più povere di Francia e ora gli affari vanno sempre peggio”, chiosa Gilles Devauchell, fiero titolare da oltre 30 anni del bistro Le Bounty, in centro città. “Prima era pieno di inglesi e camionisti. Ora più nessuno. Hanno paura. Io non ho niente contro i migranti, sono dei disperati ma non sta a noi occuparcene. Il Governo è lassista, se fossero stati a Parigi tempo pochi giorni e avrebbero già risolto il problema”.

“Qui da sempre siamo repubblicani – mi spiega fiero Jean-Luc, un autista di taxi, mentre mi accompagna vicino al terminal dell'Eurotunnel –. Con la questione dei migranti, però, il Front National sta guadagnando consensi. Se non si troverà una soluzione finirà col diventare il primo partito”.

Attraversando il Mare

Mohammed, 25enne sudanese, laureato in lettere, musulmano, vive al campo in una baracca costruita mettendo insieme sottili assi di legno e teloni di plastica. Insieme a lui due eritrei, cristiani, anche loro inquilini di un inferno dove gli unici confort sono i (pochi) servizi igienici, le (pochissime) docce e il pasto caldo (uno al giorno) offerto dal vicino centro diurno Jules Ferry.

Per raggiungere Calais si sono lasciati alle spalle il deserto, il Mediterraneo e mezz’Europa. Salpati dall’Egitto, hanno pagato 2'800 dollari ciascuno per raggiungere l’Italia su un barcone. “ Siamo rimasti a Crotone tre giorni ma poi ci hanno lasciati andare – mi spiegano –. Sapevano che saremmo andati in Francia: la vita nei centri in Italia fa schifo. A Ventimiglia ci hanno respinto due volte ma alla fine ce l’abbiamo fatta”.

Gallery: la "nuova giungla" in immagini

Cercando la pace

Il giorno della mia partenza, in stazione, incontro Ahmed, partito solo da un campo profughi del Darfur, in Sudan. Alto, esile, ha 25 anni ma ne dimostra dieci in più. Fuori c’è il sole ma lui indossa una cuffia e una giacca invernale. Le sole cose che possiede. Ai suoi piedi alti stivali di gomma, come dei pescatori. Gli torneranno presto utili, quando comincerà a piovere e poi ancora a nevicare, e la giungla dove vive si trasformerà in un’immensa distesa di fango.

Il suo villaggio, mi racconta, è stato dato alle fiamme da alcuni miliziani arabi. Un genocidio lungo oltre dieci anni, che secondo alcune stime ha fatto oltre 400'000 morti. Gli chiedo se al campo ci siano mai state tensioni, a causa della diversa provenienza di tutte queste persone. “Può succedere”, mi dice, ma poi aggiunge: “La sai una cosa? Nella giungla tutti conoscono il significato della parola guerra. È per questo che ora vogliamo una cosa sola: vivere in pace".

(GUARDA LE VIDEOTESTIMONIANZE IN CIMA ALL'ARTICOLO)

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