Musica italiana

La lezione dimenticata dei C.S.I.

“Ko de mondo”, l’album d’esordio della band italiana, usciva il 19 gennaio 1994

  • 19 gennaio, 08:00
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I C.S.I. sul retro di "Ko de mondo"

Di: Patrizio Ruviglioni

Chi ha visto 1994, la serie di Stefano Accorsi sull’anno cruciale della politica italiana, lo sa: tra le canzoni di allora, perché si apre proprio con A tratti dei C.S.I.? Questione di simboli: anche quella, con il suo incedere marziale, rappresenta una svolta, un inizio epocale. Tirava aria di cambiamento anche nella musica, trent’anni fa. La morte di Kurt Cobain si sarebbe portata dietro il grunge, via libera al britpop quindi, ma via libera anche al rock all’italiana: che aveva alzato la testa negli Ottanta, dal primo Vasco Rossi ai Litfiba e agli stessi CCCP, ma che ora con gli investimenti delle case discografiche diventava roba seria.

Ko de mondo ‒ l’album d’esordio dei C.S.I. che si apre proprio con A tratti e usciva il 19 gennaio 1994 ‒ ha il respiro del proprio tempo addosso: fotografa i sentimenti di quella stagione, e racconta la comparsa di un gruppo che oggi, però, è un fantasma. Eppure, la sua lezione è preziosa: orgoglio alternativo e indipendente, zero compromessi. La musica era una missione, anche se poi lo stesso Giovanni Lindo Ferretti sempre in A tratti metteva le mani avanti, e si chiamava fuori da quella generazione (Bluvertigo, Afterhours, Subsonica) di MTV di cui i suoi erano contemporanei, ispiratori, fratelli maggiori. Ma la vita va fuori dalle intenzioni, e per questa onestà sembrarono da subito un gruppo di cui potersi fidare, che non tradisce.

Non fare di me un idolo, mi brucerò.
Se divento un megafono, m’incepperò.

Il Consorzio Suonatori Indipendenti nasceva come evoluzione dei CCCP, però non ha mai avuto la legittimazione degli antenati. Se stile iconoclasta e punkettone originale ha ispirato la scena alternativa per vent’anni, i C.S.I. sono stati la scena alternativa. Prima il motto era “fedeli alla linea, ma la linea non c’è”, mentre le ideologie brillavano; nel 1994, con la caduta del Muro, si mettono di traverso e trasformano tutto in militanza, coerenza, integrità. Dalle provocazioni si passa a prendersi sul serio.

RSI-Rete Tre Baobab 3 luglio 2017 - Speciale Massimo Zamboni

RSI Musica 29.09.2023, 15:09

  • RSI

Con Ferretti c’è ancora l’amico fraterno Massimo Zamboni alla chitarra, mancano gli artisti “a sé” Fatur e Annarella ma arrivano teste pensanti in stile all-star game: Gianni Maroccolo (basso), Francesco Magnelli (tastiere) e Giorgio Canali (chitarra e fiammate varie) dai Litfiba, Pino Gulli alla batteria, Ginevra Di Marco alla seconda voce, Alessandro Gerby alle percussioni. In tanti avevano preso parte a Epica etica etnica pathos, il disco di congedo dei CCCP del 1989, ma è un’altra storia. Qui si chiudono in una comune in Bretagna, “ai confini del mondo”, e il risultato è un rock d’autore che non somiglia a niente, lontano dal punk, meditato e profondo ‒ qualche critico si stupirà: «Ma allora questi allora sanno suonare!» ‒ e denso nei testi. Reggiano come Codemondo, comune che emiliano che ispira il titolo; mistico come il pensiero di chi vede il mondo andare “ko”. La voce di Ferretti diventa ieratica e austera, la chitarra di Zamboni magmatica, le atmosfere scure. Il basso di Maroccolo detta legge, in copertina spiccano gli occhi sempre di Ferretti: curiosi e inquisitori, osservano e chiedono; dov’è che stiamo andando?

Il punto è lì. I C.S.I. indagano il senso profondo delle cose come già solo Franco Battiato e Fabrizio De André. Le parole sembrano pescate da editoriali di giornali, ma con il gusto per il racconto epico e l’introspezione. C’è Del mondo, quasi una nenia ipnotica in cui Ferretti si guarda intorno:

Il nostro mondo adesso è debole e vecchio,
puzza il sangue versato e infetto.

E ci sono Memorie di una testa tagliata, sulla guerra che in quei mesi dilania la Jugoslavia (“Chi è che sa di che siamo capaci tutti?”) e una coda strumentale strisciante e lunghissima, l’autobiografia di Palpitazione tenue, sintesi di una giovinezza punk, la world music di Fuochi nella notte (di San Giovanni), piccolo trattato di filosofia:

Chi c’è, c’è; e chi non c’è, non c’è.
Chi è stato, è stato; e chi è stato non è.

In tanti ci troveranno conforto come lo si trova in un libro di poesie, o in una band “in cui credere”. Manca la provocazione in stile CCCP, e per questo, forse, invecchieranno peggio. Ma lo spirito resistente di Ferretti, grazie probabilmente anche ai compagni, è battagliero, fuori dalle barricate di oggi. Con questo disco e i successivi (Linea gotica e Tabula rasa elettrificata, del 1996 e del 1997, che manterranno la stessa rotta) indicheranno la via a una generazione, grazie anche a dei concerti leggendari. Soprattutto, otterranno un grande successo commerciale, maggiore di quello dei CCCP, come testimonia un remix dance dell’epoca di A tratti addirittura di Datura, in connessione con il proprio tempo. Ma sempre a modo loro, da indipendenti in tutto. E trent’anni dopo, quando in tanti sembrano aver scordato questo tipo di approccio, la forza di quelle canzoni è ancora lì, rimossa più che dimenticata. Come gli occhi della copertina che ci fissano, come la voce della coscienza, scomoda, che si fa finta di non ascoltare.

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