Oggi, la storia
Venerdì 01 aprile 2016 - 07:05
Il 23 marzo scorso in Canton Ticino si è celebrato, nel settore dell’istruzione obbligatoria e post-obbligatoria, quello che i mezzi d’informazione hanno definito uno “sciopero al contrario”: già, poiché se “scioperare” deriva dal latino volgare ex-operare (letteralmente “astenersi dall’opera” o “astenersi dall’opus”, cioè dal lavoro), quella dei docenti ticinesi è stata una giornata di lavoro coatto in tempo di vacanza. Come una sorta di “crumiraggio collettivo”, insomma, un’anomalia che riflette senza alcun dubbio la situazione paradossale dei continui tagli finanziari imposti al settore dell’istruzione, perpetrati con indefessa stolidità e accanita arroganza ormai da anni.
A margine della nutrita documentazione giornalistica e del fervido dibattito che ha accompagnato la giornata del 23 marzo, mi è tornato alla mente un apophtégma – una battuta – che la tradizione attribuisce al «maestro di color che sanno», ad Aristotele di Stagira: τῆς παιδείας τὰς μὲν ῥίζας εἶναι πικράς, τὸν δὲ καρπὸν γλυκύν (tès paidéias tàs mén rhìzas èinai pikràs, tòn dé karpòn glykùn: «le radici dell’istruzione sono amare, ma il frutto è dolce»). La battuta è riferita da Diogene Laerzio, uno storico ed erudito vissuto tra il II e il III sec., autore delle Vite dei filosofi, di quella, cioè, che può essere definita la prima storia della filosofia del pensiero greco antico.
Completamente avulso dal contesto in cui fu pronunciato, l’aforisma aristotelico può essere interpretato in due modi. Il primo è quello tradizionale: dal punto di vista del discente studiare è per lo più penoso, è un po’ come faticare per preparare il terreno della semina, cosa che ai giovani piace raramente. Ma non si preoccupino, affermerebbe il filosofo, perché i frutti che cresceranno da quella pianta dalle radici amare saranno dolci. Ma si potrebbe azzardare una seconda interpretazione, che fa leva sulla traduzione del termine παιδεία (paidéia), il quale può significare tanto “istruzione” quanto “educazione”: dal punto di vista del docente – non più del discente – il fine dell’insegnamento dovrebbe essere quello di raccogliere i dolci frutti della formazione degli allievi, ma le radici di tale pratica, la paidéia, possono essere veramente amare. E lo sanno tutti coloro che hanno una certa pratica dell’insegnamento (quello vero, quello delle aule scolastiche), specie i docenti della scuola ticinese: risparmiare a danno dell’istruzione e iniettare massicce dosi di demotivazione tra gli insegnanti significa, infatti, rendere sterile un terreno già difficile da dissodare. Un terreno gramo finanche per delle radici amare!