Oggi, la storia

Generazione Crisi

di Alessandro Stroppa

  • 07.11.2014, 08:05
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Oggi, la storia 07.11.14

Oggi, la storia 07.11.2014, 07:05

Nel nostro lessico quotidiano ricorre spesso il termine “crisi”, non solo a denotare una situazione riferita alla dimensione del privato, ma anche ad indicare una condizione più generale legata all’attualità, specie a quella politica. Ci capita infatti di ricorre ad espressioni generiche come essere in crisi, andare in crisi, o superare una crisi, e, in un contesto più propriamente medico-fisiologico, adottiamo anche formule come crisi cardiaca, crisi epilettica, crisi di pianto, crisi isterica e crisi di nervi. Per non evocare, poi, altri sintagmi d’uso frequentissimo come crisi adolescenziale, crisi di coscienza o crisi spirituale. D’altro canto però associamo il medesimo termine anche a un ambito più prettamente politico, economico e sociale: che dire, per esempio, di crisi politica, crisi energetica, crisi di governo, crisi demografica, crisi petrolifera? Il catalogo potrebbe allungarsi pressoché all’infinito: basterebbe aprire un quotidiano a caso e contare quante volte esso ricorra in una medesima edizione!

Ebbene, appurato che “crisi” sia un termine ampiamente inflazionato e che denoti un generico stato di perturbazione o di emergenza, cosa significa questa semplice paroletta di cinque lettere, questo talismano magico in grado di attirare l’attenzione di chiunque e fornire un comodo lasciapassare a chi si trova in difficoltà? Esso deriva dal verbo greco krìno, che significa “giudicare” e dal sostantivo krìsis, che vale a “scelta”, “decisione” (e nella medicina antica indica anche la fase decisiva di una malattia): in senso esteso indica dunque una situazione che esige una decisione immediata. Ecco perché si costituiscono, ad esempio, delle “unità di crisi” per prendere in tempi celeri delle decisioni risolutive, accezione tipica del linguaggio degli antichi, che con “crisi” indicavano anche il giudizio affidato ai magistrati. Eppure, oggi, la parola “crisi” viene spesso addotta a pretesto di situazione non risolvibile, per cui una decisione risolutiva non esiste, e tanto vale arrendersi o procrastinare una scelta che dovrebbe essere tempestiva: insomma, la conferma dell’immenso potere di alcune parole, usate come grimaldelli della comunicazione per generare consenso, giustificazioni, dilazioni e pretesti di vario genere.

Un giovane nato agli inizi degli anni ’90 non può che aver sentito parlare con continuità di crisi economica e di crisi occupazionale, espressioni che generano sconforto, scoraggiamento e rassegnazione. Allora sorge spontanea una serie di domande: ma quando finirà la crisi? Chi prenderà le decisioni? Fino a quando la crisi del linguaggio abituerà i nostri giovani ad ud uscire dalla crisi di una generazione in perenne crisi?

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