CALCIO - QUALIFICAZIONI MONDIALI

Che ne sarebbe stato di Isak senza quella cena persiana?

La scalata verso il successo raccontata da chi ha forgiato la stella svedese

  • Oggi, 09:52
  • Oggi, 10:22
Alexander Isak

Una minaccia per ogni difesa

  • Imago
Di: Nicola Rezzonico 

C’è un’immagine che resta impressa nella memoria di chi l’ha visto crescere: un ragazzino magro, elegante nei movimenti, che gioca come se il campo fosse un foglio bianco da riempire con schizzi della sua fantasia. Alexander Isak aveva dieci, forse undici anni, quando Elias Mineirji - allora responsabile dell’accademia dell’AIK - lo notò per la prima volta. Non era il più veloce e nemmeno il più forte, eppure dietro a ogni suo tocco si celava una precisa intenzione. “Poteva guardare a destra e passare a sinistra, quasi avesse occhi ovunque - ricorda Mineirji dopo averci gentilmente accolto nel palazzo della Federcalcio svedese - e nel gioco a uno o due tocchi, beh, emergevano qualità rare. Ma da lì a prevedere un’ascesa del genere...”. Quelli erano ancora gli anni in cui un vecchio bunker nucleare della Guerra fredda fungeva da laboratorio sperimentale calcistico, una fucina multiculturale dove forgiare le giovani promesse di Stoccolma. Tra loro, senza far rumore, c’era anche Isak: sottile come una matita, ma già capace di scrivere calcio.

L’annata dei 1999 ha prodotto diversi professionisti, e guardando a ritroso non posso affermare che Isak fosse il migliore, anche se sul piano tecnico le sue doti erano indubbie. Credo che a far la differenza sia stata la sua passione naturale verso il calcio

Elias Mineirji, responsabile dello sviluppo in seno alla Federazione svedese

Fu proprio in quel contesto, qualche anno più tardi, che Alexander entrò in stretto contatto con l’uomo che avrebbe dato lo slancio decisivo al suo percorso di crescita: Peter Wennberg. Se Mineirji era stato il primo a scorgere la luce, Wennberg fu colui che riuscì a darle una direzione. “Quando mi affidarono la gestione di Alex, aveva quindici anni e giocava ancora con i suoi coetanei - ci racconta l’ex allenatore, ora direttore tecnico del club - ma dopo poche settimane l’avevo già aggregato all’U19. Il talento, di certo, non mancava: la vera domanda era quanto lui stesso fosse disposto a lavorare per imporsi. Fu così che misi a punto un piano personalizzato, facendolo ruotare contemporaneamente fra varie squadre del nostro vivaio: con gli U16 per sviluppare le sue qualità di leadership tra i pari età, con gli U19 da vero attaccante qual era e con gli U17 in posizione anomala, cioè come centrocampista centrale. Quest’ultima soluzione veniva adottata principalmente in trasferta, così da poter nascondere una scelta all’apparenza stravagante ed evitare domande disinformate: il senso era quello di stimolare la sua capacità decisionale a 360 gradi, così come la prontezza nel rispondere alle diverse situazioni di gioco, sia in attacco che in difesa”. E mai nessuno ebbe qualcosa da ridire? “In realtà un giorno, a metà gara, ricevetti un messaggio dal tecnico della prima squadra, ritrovatosi sul posto per caso. Il testo recitava: ‘Perché diamine Isak sta giocando a centrocampo? Pensi che diventerà un centravanti migliore schierandolo nella posizione sbagliata?’. Nella successiva riunione con i vertici, spiegai che si trattava soltanto di domande stereotipate, e che continuando a ragionare così non avremmo fatto altro che marciare sul posto. Il mio compito era - ed è tuttora - sfidare le strutture predefinite, andare oltre le convenzioni. È così che si formano giocatori per i livelli più alti”.

Quella di Isak è una storia di duro lavoro. La sua non è una favola, né un racconto drammatico o infuocato. Diciamo che ha saputo guadagnarsi il successo, allenandosi sempre con coscienza e consapevolezza. Nulla è arrivato come un dono improvviso dal cielo: è stato l’ambiente a plasmare il suo atteggiamento mentale attento e collaborativo

Peter Wennberg, direttore tecnico dell’AIK

Scrutare il panorama dall’alto appaga, ancor più se la scalata verso la vetta non ha seguito un itinerario lineare. Per Isak, come sottolineano i nostri interlocutori, i primi ostacoli si manifestarono tra i 13 e i 14 anni, quando (fa strano dirlo, osservandolo oggi…) la mancanza di velocità divenne un problema di non poco conto. Le difficoltà, in tal senso, si risolsero con il tanto agognato sviluppo fisico, ma poi ne subentrarono altre. Perché sì, raggiunta la soglia del professionismo, la pressione, le richieste e le crescenti aspettative possono schiacciarti, se non sai filtrare i rumori esterni. E a proposito, la vicenda del prodigio di Solna stava per assumere una piega ben diversa. A svelarci l’aneddoto è Wennberg: “Alexander non ricevette un contratto con la prima squadra quando la dirigenza dell’accademia riteneva che fosse pronto per compiere il grande salto: giustificarono tale scelta con motivi finanziari e con il fatto che la rosa per quella stagione fosse già definita. La verità - nuda e cruda - è che stava per lasciare il club. Allo stesso tempo, però, avevamo appena venduto un altro giocatore all’accademia di una società inglese: durante una cena in un ristorante persiano, io e i miei colleghi partorimmo l’idea di usare i soldi del trasferimento per permettere al club di offrire un contratto ad Alexander. Detto fatto: il resto è storia”. Una storia partita proprio da lì, dalla doppia cifra sfondata alla prima stagione tra i grandi, prima della definitiva consacrazione con il Newcastle e del trasferimento monstre a Liverpool.

Nel panorama attuale, mi sento di inserire Alex tra i migliori cinque attaccanti al mondo, assieme ai vari Haaland, Mbappé e Kane. Il paragone con Ibrahimovic? A livello tecnico e nel tiro vedo delle analogie, ma sul piano mentale non sono la stessa persona. La cosa più importante è che i nostri bambini continuino ad avere una figura di riferimento forte per avvicinarsi al mondo del calcio

Elias Mineirji, responsabile dello sviluppo in seno alla Federazione svedese

E parlando di modelli, fortunati loro, i ragazzi svedesi, che tra Gyökeres e lo stesso Isak hanno solo l’imbarazzo della scelta. Difficile pensare a una pura casualità: nella capitale, piuttosto, si stanno raccogliendo i frutti di un lavoro che Wennberg ci aiuta a inquadrare meglio: “Con i suoi 120’000 giocatori e 1’500 allenatori, la regione di Stoccolma è un vero e proprio calderone ribollente. L’interesse è enorme, il clima altamente competitivo. E in questo scenario motivante, le opportunità sono reali, perché i club prendono sul serio l’obiettivo di creare percorsi concreti per valorizzare l’ampio bacino di talenti. Di conseguenza, lo sviluppo dei giocatori è eccezionalmente solido e sistematico fin dalla tenera età. Questa cultura genera energia e determinazione in tutti i sobborghi della città, dove i bambini crescono in contesti difficili, ma con grandi sogni e ambizioni. Non manca comunque un lato negativo. Il problema principale è rappresentato dai genitori ossessionati, che guardano ai propri figli come a un progetto da far fruttare. Sotto questo aspetto, anche il confronto sui social media diventa profondamente dannoso, poiché minaccia la cultura positiva che esiste all’interno dell’ambiente di sviluppo. Come si dice spesso, dunque, ogni cosa ha due facce”. Proprio come la Nazionale di Tomasson, che fin qui ha mostrato quella peggiore. Speriamo per noi - non ce ne vogliano Isak e gli altri - che continui così.

05:08

Rete Uno Sport

Rete Uno Sport 10.10.2025, 07:15

rsi_social_trademark_WA 1.png

Entra nel canale WhatsApp RSI Sport

Iscriviti per non perdere le notizie e i nostri contributi più rilevanti

Correlati

Ti potrebbe interessare