Cala il sipario su un’edizione del Tour da ricordare così...

Eccolo, puntuale il “Blue Monday”, quello che per il mondo intero arriva il 19 gennaio ma non per noi, “Quelli del Tour”: è il 28 luglio quando quella strana sensazione ci pervade, si dilata quel vuoto che sentiamo grande e profondo come il mare. Allora le tenteremo tutte, cercheremo contromisure improbabili. L’unica sarà accompagnare quella malinconia, cullare i ricordi chiudendo gli occhi.

-Il primo ventaglio del Tour, quello aperto da un algido danese verso Lille, una dichiarazione di intenti, di lotta dura senza paura che però partorirà un topolino… e questo fa capire che per gente come Pogacar o Vingegaard una cosa sola può contare: vincere.

-Rouen e la sua personalissima Ruota della fortuna, quella che stampa un 100: 100 vittorie da professionista, diventate una “Carica dei 101” al Mur de Bretagne, 102 a Hautacam e 103 sulla rampa di Peyresourde, per lui, Tadej Pogacar, novello James Bond a cui hanno dato licenza di uccidere (il Tour).

-Sotto la frescura degli alberi di Tolosa l’illusione, una maglia rossocrociata in fuga dal primo metro di quella tappa. Con Mauro Schmid un vichingo che non si risparmia un solo istante, dietro come un treno il divino Mathieu Van der Poel, la volata, il fiato sospeso, un ragazzo che corre accanto ai due per urlare il suo dissenso ad un Tour che lascia correre la Israel, placcato e schiacciato contro le transenne mentre mezza ruota di Abrahamsen finisce davanti a quella di Schmid. La prima della norvegese UNO-X, un’altra amarezza svizzera, ferma al 2020.

-La processione laica verso il Monte Calvo, dura due giorni interi prima della tappa. Bici che nulla hanno da invidiare a quelle dei Pro, bambini (tantissimi) a traino di elettrici cavalli a due ruote, a piedi, lenti, con lo sguardo rivolto alla pietraia. Ognuno cerca qualcosa, forse qualcuno lo troverà.

-La gioia di Alaphilippe a Carcassonne, lo sguardo incredulo di Van Aert tagliando il traguardo, l’illusione di un successo in volata dopo la rincorsa e quella “radiolina” che non gracchia e non avverte della beffa.

-Un attimo di distrazione, pochi secondi, il fiato sospeso, il marciapiede che si avvicina pericolosamente, la Maglia iridata che lascia colori e strati di pelle sulla strada. Quel meccanico apparso come un angelo di blu vestito. Poi…il fair play di Remco, Ben, Jonas che fermano la Corsa e aspettano il suo padrone.

-Il casco storto, la testa che si piega, in un mondo in cui il millimetro conta, Ben Healy scatta e riporta l’Irlanda a vestire la Maglia Gialla. Perché storto è bello e felice.

-Le “Group Jegat”: il vero tormentone delle 21 tappe del Tour. “Jegat, chi?”, si chiedono a casa. “Jegat! Il decimo della Generale” ripeto gli stessi alla ventesima e penultima tappa.

-Le bende multicolori di Barré, la “pelata” di Ivàn Romeo: l’asfalto del Tour è una grattugia dove le ruote a volte scorrono felici, a volte perdono aderenza ed allora sono dolori ma non se arrivi a Parigi.

-I creativi del tifo: “Il Paret Peintre mais il est cycliste”, per il Re del Ventoux e “Onley Fans”, perché il Tour è roba hard.

-Il volto tirato, le gambe vuote, le lacrime che scendono, una telecamera impietosa che lo accompagna nei primi metri del Tourmalet. È lì solo per aspettare il momento in cui il piede si staccherà e toccherà terra. Evenepoel è un vincente, odia la sconfitta ma un istante prima di annunciarsi battuto mostra il volto del Campione: un bambino con la maglia Red Bull gli corre accanto e lui gli allunga la sua ultima borraccia. Per un attimo il sorriso di uno si specchia in quello dell’altro, l’istante in cui gioia e dolore si fondono in un solo gesto.

Posso riaprire gli occhi, in fin dei conti mancano solo 341 giorni alla cronometro a squadre di Barcellona.