ANALISI

Per i russi delle grandi città la guerra sembra lontana

Gli abitanti dei centri urbani sono stati ampiamente risparmiati dalla mobilitazione e buona parte della classe media continua a sostenere il Cremlino, sia per ragioni di dipendenza che di convinzione

  • 22 gennaio, 05:53
  • 22 gennaio, 08:47
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La neve sulla Piazza Rossa

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli

L‘anno nuovo è iniziato per Vladimir Putin in maniera relativamente tranquilla: la situazione in Ucraina è sostanzialmente stabile e se sul fronte meridionale la Russia mantiene le posizioni nelle regioni occupate di Zaporizhia e Kherson, su quello orientale aumenta la spinta e si rincorrono le voci di una prossima offensiva russa nel Donbass, per completare l’occupazione di quelle di Luhansk e Donetsk; sul versante interno il Cremlino si è dovuto confrontare invece nell’ultima settimana con le proteste in Baschiria, repubblica federale nella zona degli Urali, dove la condanna di un attivista nazional-ambientalista ha sollevato le reazioni di parte di parte della popolazione di etnia baschira, scesa a manifestare in piazza anche a Ufa, capoluogo regionale.

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Telegiornale 21.01.2024, 12:30

Dissenso politico e sociale

Se le proteste sono state liquidate dal Cremlino come problemi locali e sono di fatto state molto contenute (a Ufa qualche centinaio di dimostranti, prima a Baymak, sede del processo, un paio di migliaia), la stampa occidentale le ha identificate come segno di un dissenso generalizzato alla vigilia del voto presidenziale di marzo. Nello stesso calderone sono finite le proteste dei cittadini russi che in varie città si sono ritrovati in queste settimane senza riscaldamento per i soliti problemi di gestione degli impianti centralizzati di epoca sovietica che ogni inverno regolarmente vanno in tilt a turno, a Mosca come altrove, lasciando interi quartieri temporaneamente al gelo. Al di là della narrazione, è certo comunque che il dissenso politico e sociale non è visto di buon occhio dal Cremlino, che sta attuando dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022 una strategia di costante repressione.

Metropoli e periferie

In questo contesto la maggioranza della popolazione russa ritiene in ogni caso che il paese si stia muovendo nella direzione giusta e vorrebbe anche che la guerra finisse presto. Secondo i numeri del Levada Center, istituto di ricerca indipendente, solo il 21% dei russi pensa che Mosca sia sulla parabola discendente, mentre il 69% la ritiene sulla retta via; il 57% vorrebbe trattative di pace con Kiev, anche se come richiesto dal Cremlino, partendo dallo status quo, ossia dai territori attualmente occupati. La popolarità di Putin rimane alta, oltre l’80%. Evidenti però sono le differenze di opinione tra i russi che vivono nei grandi centri e nei villaggi: la capitale Mosca, sempre considerata il cuore della dissidenza, il luogo dove negli scorsi anni sono nate i maggiori movimenti di protesta, sembra ora stare decisamente con il Cremlino, con il 50% degli abitanti che vorrebbe che il conflitto continuasse; nelle città più piccole e nella campagna le percentuale è intorno al 30. Il motivo è il fatto che le metropoli, come Mosca, San Pietroburgo e altre città sopra i 500’000 abitanti, sono state in larga parte risparmiate dalla mobilitazione, che si è concentrata nelle regioni di periferia, come la Baschiria, la Buriazia e tante altre.

Dipendenza e convinzione

A Mosca la guerra è insomma lontana, pensando solo che l’area metropolitana della capitale russa conta circa 18 milioni di abitanti, più della metà di quelli dell’intera ucraina adesso. Non è solo una questione di numeri, ma anche di sistema e di mentalità, come ha osservato il direttore del Levada Center Lev Gudkov, sottolineando che è nella capitale che si trovano le élite del Paese, politiche, economiche, del settore pubblico e privato, ed è qui che anche la classe media continua a sostenere il Cremlino, sia per ragioni di dipendenza che di convinzione. Chi voleva e poteva ha fatto le valigie appena dopo il 24 febbraio 2022 e l’inizio della guerra su larga scala, ma si è trattato di una parte molto marginale della popolazione moscovita e russa in generale; tutti gli altri hanno dovuto adattarsi alla nuova situazione, con molte restrizioni rispetto agli anni precedenti, anche se le prime sanzioni occidentali, morbide, sono arrivate nel 2014, dopo l’annessione della Crimea. La stabilità del sistema putiniano, che negli ultimi 23 anni ha dovuto affrontare diversi fasi di protesta, appare legata in definitiva all’andamento del conflitto e alla sua gestione, anche sul medio o lungo periodo: se e quando la guerra arriverà davvero a Mosca, non solo in senso figurato, allora se ne misurerà davvero la stabilità.

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