La lunga storia di un’amicizia tra la RSI e il cantante

Sotto la “Manoglia” di Davide

Non perdetevi lo Showcase in diretta su Rete Tre e in livestreaming

  • 20 ottobre 2023, 10:17
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Di: di Gian Luca Verga,  

Una sera del 1990 si presentò “magro come un pic” sull’uscio della RSI. Lui col Giana e l’Umberto. Tra le molte faccende in cui ero affaccendato in quegli anni gestivo anche un programma dedicato ai musicisti della nostra regione. Tre sere alla settimana a Rete Tre lì invitavo in studio per chiacchierare, per ascoltar la loro musica, i loro inciampi, le peripezie e soprattutto cavalcare tutti insieme i loro sogni. Si sapeva quando iniziare, difficilmente quando congedarli. Nelle settimane precedenti l’amico e collega Umberto Savolini del Corriere - col quale ho condiviso anni di viaggi musicali, concerti e incontri- mi aveva parlato con fervore di questo bizzarro combo che provava nel suo garage di Porlezza: i De Sfroos.
E Davide, puntualmente, si presentò sull’ uscio della RSI col Giana, bassista e co autore delle loro prime canzoni, e l’immancabile Umberto che lì aveva praticamente raccolti dalla strada come si raccoglie un micio inzuppato di pioggia. Aveva dato loro un tetto e quattro mura per affrescare quella poetica fradicia di “Akuaduulza” e vento, vicoli e bettole, barche e montagne in cui non era raro, nella “Nocc” avvolta dalla bruma, che apparissero fantasmi, mostri o bizzarre creature. O sentir i pesci mormorare di antiche vicende di paese confuse tra le ninna nanne sussurrate con voce fioca.   
Inizia praticamente così il rapporto di Davide col sottoscritto e la RSI, un rapporto che si è trasformato nel corso dei decenni in amicizia, affetto, stima reciproca, complicità.
Quella sera rimasi ammaliato dai loro racconti, generosi di una gloriosa e orgogliosa umanità, o “bestiario” se preferite. Che già non potevi non amare perché era anche la nostra; e che loro affrescavano in musica al pari del loro territorio, che poi è anche il nostro. L’epos e il topos, l’epica di un poderoso e irresistibile canzoniere popolare già “in nuce” e il teatro dove allestire la vita che scorre col suo eterno, ciclico respiro e gli arabeschi che la intrecciano. Con le sue luci e le sue ombre, la follia e l’apparente, impacciata normalità dei suoi attori, “Spaesati” o meno che siano. E per uno che amava anche i Pogues e le Negresses Vertes, così come i Waterboys e Mau Mau i De Sfroos erano una boccata d’aria fresca. Quella che la “Breva e il Tivan” rimescolano increspando “La terza onda”. Ero rapito e affascinato dall’ascolto dei primi provini (che poi si trasformarono nella mitologica cassetta “Ciulandari”, e che probabilmente trasmisi nell’etere in prima assoluta). Sprizzavano vitalità, goliardia e poesia popolare valorizzata dall’ impiego a dir poco musicale che si è rivelato il patois laghée, l’idioma dell’anima. Deflagrante, una vera “Sguaraunda” se rimestato con lo ska, il punk, il rock e la musica popolare non necessariamente figlia di quella peculiare porzione topografia a cavallo dei due laghi. 
Corrispondenza dicevo, amicizia, affetto e complicità reciproca. Ho perso il conto delle volte che il Bardo di Tremezzo è stato al nostro microfono o si è concesso alle nostre telecamere in questi 30 anni. Non c’è disco che non abbiamo presentato, iniziative e moti dell’animo che non abbiamo sostenuto, interviste sullo scibile umano a cui non si sia prestato. Ha inoltre sudato facendo il “magut” per la RSI e partecipato a lezioni di dialetto; ha cucinato e indossato i panni del cripto zoologo per raccontarci di creature magiche affabulando al contempo di rituali ancestrali ammaliando con le sue peregrinazioni reali o immaginarie. E ha condiviso pure quelle oscure ombre che ha dovuto attraversare.
Molte i progetti vissuti, prodotti o battezzati. Durante i primi allentamenti post pandemici ricordo la storica “reunion” dei De Sfroos a 25 anni dalla pubblicazione del leggendario “Manicomi”. Remixato proprio in RSI e salutato con un brindisi di Braulio riserva. E il successivo concerto di Capodanno allo Studio 2, in piena pandemia, quando la band ha bussato con vigore alle porte di migliaia di persone intente tra ad assaporare “Pulenta e galena fregia” 
O, andando a ritroso, il loro primo concerto in Piazza della Riforma nei primi anni 90 quando, ancora semisconosciuti in patria, i De Sfroos benedirono una folla oceanica al cospetto delle nostre telecamere. E sempre zizzagando nel tempo i tre splendidi showcase a nome di Davide van De Sfroos dedicati al meraviglioso “Quanti Nocc”, al più recente “Maader folk”, senza scordare “Synfuniia”. Eventi che, come tradizione vuole furono presi d’assalto dal grande pubblico. Ed inutile, mi accorgo, riannodar il filo della memoria: di occasioni radiotelevisive ne contiamo a bizzeffe, davvero tante; troppe qualcuno potrebbe obiettare. Ma ogni volta vi assicuro Davide si è presentato sull’uscio della RSI con nuovi, cangianti vestiti artistici e doni. Rientrando dai suoi viaggi si è mostrato sempre generoso di condividere nuove curiosità, scoperte, emozioni. Rivelandosi un moderno “healer”, un guaritore i cui sortilegi molti non posso farne più a meno.
Con lui siamo stati “Yanez” in ciabatte e vuvuzela e quel romantico borderline del “Genesio”, dei “Technociful” di prim’ordine, viandanti, playboy di provincia e “Figli di Guglielmo Tell”. Siamo stati tanto, tanto altro ancora. E lunedì 30 ottobre alle 20.00 all’Auditorio Stelio Molo della RSI ci ritroveremo come sempre seduti attorno alla “Manoglia” per ascoltare storie antiche e nuove che si colpiranno dritte al cuore.

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