Raccontarci delle storie è bello. Lo facciamo quotidianamente, senza essere romanzieri. Quotidianamente ci raccontiamo la nostra vita, inseriamo ciò che ci accade in una personalissima cornice interpretativa, costruiamo un percorso di senso, a volte inconsapevolmente distorciamo il reale a vantaggio di una narrazione che ci consoli, ci sostenga, ci confermi. Nelle scorse settimane mi è piovuto addosso un libro: mi era stato consigliato tempo addietro da un collega entusiasta, mi ero incuriosita… e poi era rimasto lì, in un cassetto della memoria. Poi me lo sono ritrovato tra le mani in libreria e, in tempi di confinamento e lockdown, mi sono ritrovata a leggere dei sei mesi trascorsi da Sylvain Tesson, da solo, in una capanna siberiana, sulla sponda del lago Bajkal. Una strana simmetria del tutto casuale ma che nel mio personale racconto assume il fascino giocoso del destino.
Il club di Rete Due