Oggi, la storia

Otium e negotium

Rete Due, mercoledì 14 maggio, 07:05

  • 14 maggio 2014, 09:05
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Oggi, la storia

Oggi, la storia 14.05.2014, 07:05

A molti sarà capitato di notare, parlando o leggendo, che tra le parole “ozio” e “negozio” ci sia una familiarità che va oltre la semplice rima o la generica assonanza. Una familiarità non difficile da rintracciare, se si considera che l’ozio sta ad indicare l’inattività e l’inoperosità – talora anche indolente –, mentre il negozio è il luogo, o la circostanza, in cui si esercitano l’attività e l’operosità (preferibilmente in modo solerte). Eppure i due termini si oppongono in modo differente rispetto la consuetudine linguistica: per lo più, infatti, il termine positivo è negato da un prefisso denegativo (morale, im-morale) o privativo (morale, a-morale), mentre in questo caso è il termine connotato negativamente (l’ozio) ad essere denotato positivamente attraverso la negazione (il negozio, cioè il non-ozio). Tale apparente anomalia si spiega risalendo alla cultura e alla lingua latina, per le quali l’otium era qualcosa di simile al nostro “tempo libero”, mentre il nec-otium (il negotium per l’appunto) indicava tutte quelle attività necessarie agli individui per garantirsi la sopravvivenza, e, proprio perché ineludibili, contrapposte al tempo libero, inteso anche come ricerca di una vita appartata e quieta. Tuttavia, prima che il ribaltamento semantico che i termini subirono nel passaggio tra il latino e l’italiano, il mondo antico raggiunse ed elaborò una consapevolezza filosofica dell’otium e del negotium, specie attraverso la speculazione di Lucio Anneo Seneca: nel De brevitate vitae, in particolare nei capitoli XII-XIV, il filosofo profonde uno sforzo metodico per riabilitare il tempo libero opponendosi alle definizioni volgari della vita otiosa, la quale si realizza nella sua accezione più nobile attraverso l’otium filosofico: soli omnium otiosi sunt qui sapientiae vacant, soli vivunt («soli fra tutti, sono gli “oziosi” quelli che dedicano il tempo alla saggezza, solo essi vivono»); e non è un caso se la vita “oziosa”, per Seneca, sia parafrasata da formule come secum morari (“frequentare se stessi”), suum fieri (“essere padroni di sé”), in se recedere (“ritirarsi in se medesimi”), indispensabili per raggiungere una vacatio, una libertà per se stessi, che coincide con l’unica aspettativa di vita autentica in opposizione al negotium (il lavoro, la routine, il tempo in perpetua fuga).

Insomma, un’idea di tempo libero quasi incompatibile con il ritmo frenetico della vita contemporanea, di quella modernità, cioè, che ha trasformato il concetto di schola, che in greco antico significava “tempo libero”, nel tempo dell’obbligo.

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