Oggi, la storia

Socrate, maestro d'ironia

di Alessandro Stroppa

  • 10 giugno 2016, 09:05
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Oggi, la storia
Venerdì 10 giugno 2016 - 07:05

Socrate, maestro d'ironia

Oggi, la storia 10.06.2016, 07:05

Da un mese a questa parte ci siamo ripetutamente dedicati a ricordare la figura di Socrate: dapprima attraverso l’elogio della filosofia (in particolare del precetto del nosce te ipsum), e poi attraverso gli ultimi insegnamenti impartiti dal filosofo durante la sua morte, prendendo spunto dalla statua del Socrate morente collocata nel Parco Ciani, a Lugano. Come non concludere degnamente, allora, parlando dell’ironia socratica?

L’ironia di Socrate – i suoi allievi lo imparavano presto – consisteva nella pretesa del filosofo di mostrarsi ignorante in merito ad ogni questione dibattuta, tanto che l’interlocutore si sentiva invitato a esporre nei minimi dettagli la propria convinzione: convinzione che il maestro puntualmente smontava rilevandone l’infondatezza e degradandola dal rango di conoscenza a quella di mera opinione, per poi costruire un nuovo sapere, più consapevole e più razionale. In effetti il termine “ironia” (dal gr. εἰρωνεία, “dissimulazione”, “finzione”, “falsa modestia”, connesso all’aggettivo εἴρων, -ωνος, “finto tonto”, “falso ignorante”) indica proprio un simile atteggiamento, ed è senza dubbio Socrate il pensatore che ha insegnato alla modernità l’atteggiamento dell’ironia come metodo e strumento di suprema conoscenza. Basta leggere un dialogo platonico qualsiasi per cogliere tanto il sottile umorismo quanto l’efficacia dialettica dell’ironia socratica.

D’altro canto che l’ironia fosse la cifra intellettuale di Socrate si apprende anche dall’aneddotica diffusa sul suo conto, che lo ritrae, anche nelle battute della vita quotidiana, come un uomo sagace e arguto. L’erudito latino Aulio Gellio, ad esempio, racconta di come «Santippe, la moglie del filosofo, fosse parecchio arcigna e litigiosa (morosa et iurgiosa); giorno e notte non faceva che schizzare le collere e i malumori che sono propri delle femmine. Alcibiade – un allievo di lui – si stupiva di tali intemperanze di Santippe contro il marito, e chiese a Socrate per quale ragione non cacciasse di cosa una donna così bisbetica. “Ma perché – rispose Socrate – col tollerare in casa una donna del genere mi avvezzo e mi alleno a sopportare meglio la protervia e la villania degli altri”». Tanto più che Socrate, come narra il biografo greco Diogene Laerzio, «riferendosi a Santippe, che poco prima lo aveva insultato e gli aveva riversato addosso dell’acqua, disse: “οὐκ ἔλεγον ὅτι Ξανθίππη βροντῶσα καὶ ὕδωρ ποιήσει; (Non lo dicevo io che Santippe, dopo aver tuonato, avrebbe anche fatto piovere?)”». La stessa ironia che animava i battibecchi quotidiani segnò l’atteggiamento del filosofo anche di fronte alla sua condanna a morte: chi altri, del resto, avrebbe potuto ingannare il tempo, prima che la cicuta giungesse ad effetto, filosofando amabilmente con i propri allievi?

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