di Armando Ceroni
È stato un allenatore papà, dopo esser stato un giocatore ribelle. Bon viveur in gioventù quando era capitano dello Zurigo (ma nel 1969 per due mesi giocò anche nel Grasshopper), che all'epoca dominava, e tra i trascinatori dello spogliatoio rossocrociato. Anche al di là delle mura canoniche, quelle dell'hotel dove era alloggiata la Svizzera ai Mondiali inglesi del 1966. Un salto e via nel cuore della notte per godersela a pieni polmoni. Era anche questo Köbi Kuhn. Aperto e solare, con una vena di latinità affinata con l'amico e compagno di mille battaglie Rosario Martinelli.
Da giocatore si esibiva in modo elegante, ma era capace di mettere pure la gamba. Oggi si direbbe un centrocampista moderno. All'antica invece è stato il suo stile da allenatore, lungo una carriera trascorsa tra i giovani e su un unica vera panchina, quella della Nati, tra il 2001 e il 2008. Stagioni condite da due Europei deludenti e da un Mondiale che poteva essere molto, ma non fu.
E chi se li dimentica quei calci di rigore contro l'Ucraina agli ottavi del torneo che più conta. Una cosa che non si è mai capita. Ad un niente dal momento chiave, viene dettata l'uscita di scena di Alex Frei. Che è il bomber e rigorista principale di quella Nazionale. Se non fosse stato Köbi ne sarebbe nato un putiferio infinito. Ma a Köbi Kuhn si poteva perdonare molto, perché con quella sua aria un po' così, si è sempre fatto amare da tutto il popolo del calcio svizzero.
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