Il campionato di hockey si è concluso e i Mondiali si avvicinano. L’occasione perfetta per incontrare Patrick Fischer e conoscerlo meglio, sia dal lato prettamente sportivo che da quello privato. E allora ecco riaffiorare ricordi e aneddoti legati alle sue esperienze a Lugano, Davos e Zugo, oltre evidentemente a quelle più recenti con la Svizzera.
“Dopo i titoli vinti, ho capito che Lugano non era l’ideale per me. La città era troppo pericolosa ed ero sempre in giro” confessa ridendo nella sesta puntata del video podcast di Armando Ceroni. “Inoltre non ho più giocato così bene. Ho voluto andare a Davos e Arno Del Curto ha accettato, a patto che facessi il capitano. A Davos sono diventato più normale”.
Tra le confessioni fatte, anche quella relativa a un incidente avvenuto in Spagna: “In Gran canaria ho perso un dente al bar. Io volevo entrare, il buttafuori non voleva lasciarci passare. Alla fine in effetti non siamo entrati, siamo andati dal dentista”.
“Non ho capito di voler fare l’allenatore finché non l’ho fatto. Finita la carriera sono tornato in Ticino per stare vicino a mio figlio Kimi, e il Lugano mi ha chiesto se non volessi fare qualcosa. Ho risposto di sì, ma non con i bambini, piuttosto con ragazzi di 16-18 anni. E lì è iniziato tutto, con Mike McNamara. Lui era proprio una bella persona, molto intelligente. Mi piaceva come lavorava. Quando siamo arrivati in prima squadra ho rivissuto lo spogliatoio e i tifosi, e ho ritrovato le emozioni che non avevo più, con il vantaggio che non dovevo allenarmi per viverle. Il mio corpo era stanco di spingere sempre”.
Per quanto riguarda la Nazionale e i Mondiali di hockey e le sconfitte nelle finali, il tecnico la prende con umorismo: “L’attesa è la gioia più grande. Abbiamo perso tatticamente, per prolungare la gioia”
Anima libera dentro e fuori dal ghiaccio - Patrick Fischer
RSI LARMANDILLO 28.04.2025, 17:00