Editoriale di Stefano Ferrando
Il Tennis spesso può sembrare crudele ma mai si rivelerà ingiusto: nel Tennis vince chi è più bravo, sbaglia meno e fa i punti importanti e la Finale di New York non ha fatto eccezione. Certo è dura, durissima da digerire perché due settimane di autentica poesia ci avevano convinto che sì, questa era la volta buona per sganciarsi da quel 17 che Roger Federer aveva raggiunto nel 2012 a Wimbledon, l’anno dell’ultimo Slam, l’anno che per alcuni doveva essere l’ultimo della carriera.
Ma una Leggenda non può mollare quando sente ancora il sacro fuoco nelle sue vene, non può smettere di amare alla follia il suo Sport e così ha proseguito incurante delle sconfitte fra Melbourne, Parigi, Londra e New York, sorretto dalla voglia di stupire e divertire. A tre anni di distanza, in poche settimane lo abbiamo visto illuminare prima Wimbledon e poi New York ma alla fine andarsene da sconfitto perché sulla sua strada si è trovato il più bravo, Novak Djokovic.
Sconfitto per i tabellini e albo d’oro, non certo per noi: quando tornate al passato difficilmente ricordate nome e cognome dello sconfitto ma fra tanti anni, non solo i fanatici, oltre a Djokovic vincitore di tre quarti degli Slam 2015, ricorderanno quello di Roger Federer. Ricorderanno il suo tennis scintillante, le sue discese a rete, le invenzioni, la voglia di stupire e quella di lottare anche quando tutto pareva compromesso: non ci credete? Andate a rivederlo nel quarto set, sotto di due break ad un passo dalla sconfitta ma ancora con una luce speciale negli occhi, la stessa che i ragazzini sognano di avere un giorno quando si ritroveranno su un campo da tennis a giocarsi un match point o al 90’ sul dischetto del rigore di una possibile vittoria o all’ultimo colpo di pedale in una volata mozzafiato. Sì perché Federer non è “proprietà esclusiva” del Tennis, è la Leggenda a cui tutto lo Sport guarda con immutata ammirazione perché uno così non lo rivedremo mai più.