Il 24 ottobre 1975 le donne islandesi non andarono a lavorare, né svolsero alcun lavoro casalingo o di cura. Il 90% delle donne partecipò allo sciopero, incluse le donne che vivevano in campagna. Questo costrinse diversi settori produttivi e sociali a chiudere durante tutta la giornata. Venne sospeso il servizio telefonico: le centraliniste avevano incrociato le braccia. Ma anche i giornali non uscirono, visto che le compositrici tipografiche erano in maggioranza donne. I teatri chiusero perché le attrici si rifiutarono di lavorare. Così come le scuole e gli asili.
I voli furono cancellati, dal momento che non c’erano le assistenti di volo, e i dirigenti di banca dovettero lavorare come cassieri. Lo sciopero durò fino alla mezzanotte, momento in cui le compositrici tipografiche tornarono a lavoro per far uscire i giornali. Che parlavano solo dello sciopero. L’anno successivo, il parlamento islandese approvò una legge per garantire l’uguaglianza di diritti.
A 50 anni da quello storico momento facciamo il punto sulla situazione attuale in Svizzera, e in Europa. Con Giulia Petralli, segretaria cantonale VPOD, responsabile anche del settore donne, e con Paolo Borioni, docente all’università la sapienza di Roma, storico delle teorie politiche nordeuropee.
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