Le divisioni interne al mondo ebraico si sono acuite negli ultimi 2 anni di guerra e di governo Netanyauh, all’interno di un rapporto molto complesso fra ebraismo e sionismo, Stato di Israele, critiche o accuse al governo israeliano che vengono a coincidere- o fatte coincidere- con antisemitismo. Sempre più intellettuali ebrei che hanno preso pubblicamente le distanze e condannato duramente il governo israeliano – David Grossmann, Ahron Bregman, Ilan Pappé – fino alla scrittrice e storica francese Annie Cohen-Solal che, intervistata su Il Manifesto, ha usato le seguenti parole: «ci sono mille modi di essere ebrei. Ci sono anche, purtroppo, dei fanatici al potere su tutti i fronti. Ma come agire oggi? Non inganniamoci: per il popolo ebraico sarà necessario affrontare un vero e proprio scisma. È giunto il tempo di svelare le nostre irrimediabili divergenze».
Le stesse parole e i loro significati (basti pensare alla polisemia di “ebraismo”, che può indicare una religione, un’appartenenza culturale, una nazione, uno Stato) sembrano essere in guerra. Un ginepraio attraverso cui ci guidano la semiologa Valentina Pisanty, professoressa ordinaria di Semiotica all’Università di Bergamo e autrice di Antisemita. Una parola in ostaggio (Bompiani, 2025) e il giornalista Gad Lerner, autore di Ebrei in guerra. Dialogo tra un rabbino e un dissidente (Feltrinelli, 2025), scritto con il rabbino Riccardo Di Segni.
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