Che fine faranno le Big Band Jazz? Spariranno? È complicato dare una risposta definitiva: certo, i bei tempi dell’era dello swing sono passati da un po’ e oggi pesano sempre più le difficoltà organizzative e finanziarie. Ma tutto sommato le care vecchie Jazz Orchestra hanno ancora il loro perché: lo dimostrano i progetti di musicisti come Tom Smith in Inghilterra, o come Danny Janokuchi e Darcy James Argue negli Stati Uniti.
Il primo protagonista di questa puntata di Bourbon Street è Ben Patterson, veterano in questo ambito, con una lunga militanza negli Airmen of Note (la big band delle forze aeree statunitensi, erede della Major Glenn Miller Army Air Forces Orchestra).
Da una decina di anni si è messo in proprio con il proprio ensemble e poche settimane fa ha pubblicato il terzo album, Mad Scientist Music, una leccornìa per gli amanti del jazz arrangiato, orchestrato: c’è l’esuberanza latina, ma c’è anche la morbidezza delle migliori ballads; c’è molta muscolarità, un sacco di adrenalina, e allo stesso tempo molta finezza e raffinatezza. Insomma, una tavolozza di colori molto ampia, per tutti gli appassionati di un jazz classico che però non si guarda solo alle spalle. Chi invece si guarda indietro è un giovane trombettista di Baltimora, Brandon Woody: non lo fa per nostalgia, per decantare i bei tempi andati, lo fa (anche) per raccontare pagine terribili del nostro recente passato. For the love of it all è un album pieno di grande musica, di speranza, di fede e contiene anche un bellissimo pezzo, We, Ota Benga, dedicato ad uno degli ultimi schiavi della storia moderna.
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