In epoca di globalizzazione, in cui internet e i social media la fanno da padrone, parlare del dialetto può sembrare anacronistico. Eppure il dialetto fa parte del nostro bagaglio culturale ed è probabilmente uno dei tratti distintivi più emblematici della nostra appartenenza a un luogo, così come a una storia e a una tradizione che arrivano dal passato.
È una sorta di carta d’identità. È un abito cucito su misura. Non a caso, Noam Chomsky, considerato il padre della linguistica moderna, è convinto che “una lingua è un dialetto con un passaporto e un esercito”.
Il dialetto ci racconta delle nostre radici, portando in dote una ricchezza di modi di dire e di parole unica. È l’espressione più genuina di un popolo. “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini, vedendo nel dialetto l’ultimo baluardo di una cultura popolare che si sottrae al logorio della vita moderna.
Ospiti di Charlot, l’antropologo e scrittore Marco Aime, docente di antropologia culturale all'Università di Genova e coautore del saggio “Je so' pazzo. Pop e dialetto nella canzone d'autore italiana da Jannacci a Pino Daniele” (EDT, 2014); Emiliano Picchiorri, professore ordinario di Storia della lingua italiana all’Università di Chieti-Pescara e condirettore della rivista “Carte di viaggio. Studi di lingua e letteratura italiana”; l’attore e regista Flavio Sala reduce dal recente successo della commedia dialettale “Bonanocc ai sonadoo” e, infine, Enzo Pelli, già responsabile del Dipartimento cultura e fiction della RSI, insieme a Francesca Giorzi, attuale responsabile della fiction radiofonica, a proposito della serata pubblica per la presentazione del libro dedicato al teatro radiofonico di Elsa Franconi-Poretti “Una dòna di nòst”, che fu anche tra le protagoniste ticinesi nella conquista del diritto di voto e di eleggibilità delle donne in Svizzera.