Incastonato tra i numerosi rivolgimenti della musica e del costume, i movimenti studenteschi, la lotta contro la guerra in Vietnam, lo sbarco sulla Luna, il 1969 fa parte di quella manciata d’anni nei quali sembrò che il mondo andasse sottosopra. In parte fu così. E la musica, tutta la musica, visse dei contraccolpi tremendi, o benefici - dipende molto dai punti di vista. Uno dei centri nevralgici – forse il principale – del panorama musicale di quegli anni fu Londra che, al seguito della British Invasion, come la chiamarono gli americani presi in contropiede, continuò a pieno regime a sfornare novità, tendenze, a volte capolavori, e ad attrarre a sé musicisti di ogni genere, Jimi Hendrix e tanti altri.
È abbastanza evidente che il fenomeno riguarda soprattutto la rock music (fra i tanti bastano due nomi: Beatles e Pink Floyd), ma anche il jazz visse a Londra una stagione assolutamente straordinaria. Naturalmente in Gran Bretagna, blues, jazz erano diffusi e amati da tempo, ma fu sul finire degli anni ’60 che il mondo “scoprì” il British Jazz con tutta la sua carica di originalità dirompente per molti aspetti.
Dal 1969 a oggi sono passati due terzi di secolo, e proprio quest’anno ha visto la luce un documento prezioso, una magnifica fotografia musicale di quella stagione irripetibile. Flashpoints and Undercurrents si intitola un doppio album pubblicato da Cuneiform: una band di 10 elementi, con John Surman a guidare e ispirare l’aristocrazia del jazz inglese di quegli anni: Kenny Wheeler, Mike Osborne, Alan Skidmore, Ronnie Scott e altri ancora. Un disco che dalla prima all’ultima nota trasuda un’energia, una vitalità esplosiva e terribilmente contagiosa.
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