LASER
Giovedì 18 gennaio 2018 alle 09:00
Replica alle 22:35
Cosa si prova a toccare le vette della notorietà sulla scena musicale pop e pian piano accorgersi che lo show-business e la cosiddetta “società dello spettacolo” pretendono scelte artistiche ed esistenziali che superano la propria possibilità di sopportazione? E quando questo succede, dopo che per anni la musica è stata l’ossigeno, il cibo quotidiano con cui si è cresciuti, ci si è divertiti e che ha garantito anche, grazie a canali alternativi al mainstream, notorietà e successo? La possibilità di entrare in crisi è molto alta. Lo sa bene Mara Redeghieri, per anni vocalist degli Ustmamò, una formazione che si inserì in quello che venne chiamato “post-punk” degli anni Novanta diventandone un po’ l’emblema – soprattutto merito di sonorità particolari e sperimentali che ben si fondevano con la voce di Mara – che, ad un certo punto si trovò a dover fare i conti con una realtà discografica e commerciale da cui si sentiva snaturata. Redeghieri, coerente con la propria natura un po’ ribelle, a quel punto abbandonò il gruppo, smise di cantare, abbandonò l’ambiente musicale e decise di vivere in un paese alle pendici dell’Appennino tosco-emiliano. Cinque anni difficili e di silenzio, durante i quali riprese l’insegnamento (grazie ad una laurea in lingue moderne), che rischiavano però di avere ripercussioni anche sul piano della vita quotidiana. L’ambiente della montagna e la cultura popolare, come per magia, vennero però in soccorso e Mara Redeghieri riuscì a rimodulare la sua voce – considerata tra le più belle degli anni Novanta – ma in una maniera inattesa quanto particolare passando dal pop ai canti di lotta anarchici e alla tradizione dei canti popolari della pianura e della montagna reggiane, grazie all’idea che maturò di formare un coro femminile di ben quaranta voci. Forte di queste esperienze Mara Redeghieri ha voluto essere “recidiva” riproponendosi sulla scena pop con un album scritto da lei e, non casualmente, intitolato “Recidiva”.