Quattro decenni dopo quel primo convegno sulla popular music (Amsterdam 1981), bersaglio dell’ironia a buon mercato del New Musical Express, risuona ancora il motto del padre putativo Philip Tagg: «taking fun seriously». Se non fosse che c’è ben poco da divertirsi, oggi. Non a caso, l’ultimo incontro mondiale della International Association for the Study of Popular Music (2023) aveva scelto «crisi» come parola chiave: tanto quella globale quanto i malesseri propri delle musiche popolari contemporanee, il cui stesso statuto ontologico si scopre cagionevole, al cospetto di algoritmi, piattaforme e modelli di sfruttamento dei diritti.
Nessuno, ovviamente, si era illuso di essersi lasciato il peggio alle spalle. Degli strascichi cronici recano traccia i temi che hanno animato la conferenza IASPM di quest’anno — Recording Popular Music — tenutasi alla Sorbonne Nouvelle di Parigi dal 7 all’11 luglio: oltre 350 interventi e una comunità di circa 400 studiosi da tutto il mondo. Ben nutrita la delegazione italiana, a testimonianza di un tessuto di ricerca ancora resistente alle problematiche strutturali del nostro sistema universitario.
Tanti temi all’ordine del giorno, di cui discuteremo oggi con Jacopo Tomatis, musicologo, musicista, giornalista musicale e ricercatore all’Università di Torino, dove insegna Popular Music ed Etnomusicologia, al microfono di Barbara Tartari.
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