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Accabadora - Michela Murgia

«Non c’è nessuno che arrivi al suo ultimo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada»

  • 17.12.2022
  • 4 min
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Buongiorno, sono Robin e frequento un Monomaster intitolato Studi italiani all’Università di Zurigo in collaborazione con la Sapienza di Roma. Oggi vi presento Accabadora di Michela Murgia pubblicato da Einaudi.

Si tratta di un romanzo breve, che ha come protagoniste due donne – la giovane Maria e l’anziana Bonaria Urrai – che vivono a Soreni (ipotetico paesino dell’entroterra sardo), e tratta due temi tanto fondamentali quanto delicati: l’adozione e l’eutanasia.

Michela Murgia, classe ’72, è un’autrice sarda con numerose pubblicazioni all’attivo, ma non è solo un’ottima narratrice e un’attenta saggista, bensì anche una persona molto impegnata e attiva, che non smette mai di osservare criticamente la realtà attuale per evidenziarne problemi non risolti e ingiustizie sociali.

Con Accabadora, vincitore di numerosi premi nel 2009 tra cui il prestigioso Campiello, Murgia ci porta in una Sardegna degli ’50, che sembra quasi conservare una realtà di un tempo senza tempo e con una lingua scabra e poetica insieme, interroga il nostro mondo attraverso quella realtà lontana dal suo equilibrio segreto e sostanziale.

«Fillus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai.»

Con quest’adozione particolare, la piccola Maria lascia la famiglia povera per diventa figlia d’anima di Bonaria ed entrambe vivono questo legame felici, nonostante i pettegolezzi del paese. Eppure c’è qualcosa di misterioso: la vecchia Tzia lavora come sarta ma la gente di Soreni ne sembra quasi intimorita.

Quello che tutti sanno infatti, ma che Maria non può nemmeno immaginare, è che Tzia Bonaria Urrai oltre a cucire abiti è un’accabadora, cioè una donna che porta la morte alle persone in fin di vita e in condizioni di malattia per cui vivere significa soffrire.

Nell’inconsapevolezza di Maria tutto è tranquillo finché un giorno a richiedere l’intervento dell’accabadora è il fratello del suo migliore amico, dopo aver perso una gamba e nulla sarà più come prima…

Eccoli dunque i due temi importantissimi e centrali, che si intrecciano continuamente nel libro. Ciò che mi ha colpito e convinto, è come non siano mai trattati in maniera didascalica, anzi come vengono tematizzati nella quotidianità del paesino sardo. Dunque Murgia riesce a raccontarci una storia avvincente, con una bell’affresco della sua terra d’origine e a innervarla con queste tematiche: l’adozione e l’eutanasia. Un altro grande pregio è la riflessione indotta da alcune frasi rivelatorie che arrivano quando si è completamente immersi negli eventi. Sono affermazioni con cui l’autrice chiude una scena che non possono far altro di farci ripensare l’episodio o il capitolo con una prospettiva diversa, sotto una nuova luce.

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