Incanto fonico - Mariangela Gualtieri
Un libro davvero prezioso che insegna l’importanza della vita sonora delle parole
«Questo ci tocca: liberare nell’aria il verso, trovare / la sua forma sonora. Incanto fonico si chiama».
Sono Francesca Rodesino, dottoranda in italianistica all’Università di Zurigo, e oggi vi parlo di «L’incanto fonico» di Mariangela Gualtieri.
«L’incanto fonico» è il titolo del libro ibrido, in bilico tra la poesia e l’aforisma, che Mariangela Gualtieri ha pubblicato quest’anno per Einaudi, quale atto d’amore verso «l’arte di dire la poesia», come recita il sottotitolo dell’opera.
Mariangela Gualtieri è una poeta, scrittrice e drammaturga nata a Cesena nel 1951, ed è una delle voci più luminose della scena contemporanea. Negli anni Ottanta, dopo un percorso teatrale che l’ha portata a incontrare maestri del calibro di Carmelo Bene, fonda il Teatro Valdoca insieme a Cesare Ronconi. Il legame con il teatro, d’altronde, è fondamentale per capire il fare poetico di Gualtieri, così radicato nell’esigenza di abitare con il pubblico uno stesso spazio, e di fare incontrare alla poesia la voce umana.
L’ultimo libro di Mariangela Gualtieri, dal titolo «L’incanto fonico», restituisce con forza tutte queste necessità, perché racconta la conoscenza che Gualtieri ha maturato lungo i suoi quarant’anni d’esperienza nel dire la poesia in pubblico. E lo fa trasformando questa stessa esperienza in poesia, o meglio «poesia saggistica» come la chiama l’autrice stessa, ma dove le parole sono centellinate ed essenziali, evocando la misura, e talvolta anche il tono, della preghiera.
Le dodici sezioni che suddividono «Incanto fonico» tracciano un percorso all’interno dei meccanismi segreti di quest’arte orale, invocando, per esempio, l’importanza della «voce», della «memoria», del «respiro», del «silenzio», dell’«attenzione», ma anche di quella che l’autrice chiama «tecnologia sacra», e cioè l’insieme di «microfono, fili, casse acustiche da cui fuorisce la voce». Gualtieri ci mostra così che il «dire la poesia» è una pratica che coinvolge l’intera persona, ma anche un accadimento relazionale, che può avvenire solamente perché c’è un pubblico che ascolta.
La poesia di Gualtieri si relaziona alle altre e agli altri anche in un secondo senso. Infatti, «L’incanto fonico» è un’opera piena di voci altrui, fin dal titolo, che è un omaggio ad Amelia Rosselli, ma potremo riconoscere anche le voci di Dante, di Cristina Campo, di Paul Celan, insieme ad altre, che Gualtieri elenca nell’ultima pagina del suo libro, come a ringraziarle per averla abitata così intensamente.
Quindi, anche se Gualtieri sta alla larga da ogni pretesa d’insegnamento, chi legge il suo libro troverà, oltre che una straordinaria immersione in un «bagno sonoro», anche un prezioso manuale sul dire la poesia, perché, come ricorda l’autrice:
«Poesia è veritiera. Chiede voce veritiera. / Nuda voce non impalcata non accessoriata non /
potenziata. Nuda voce più nuda».
Credo che «L’incanto fonico» sia un libro davvero prezioso perché insegna l’importanza della vita sonora delle parole, ma pure che dire la poesia è sempre dirla a qualcuno.