Improvviso terrore mi sospende
il fiato e allarga nella notte gli occhi:
separata dal resto della casa
separata dal resto della terra
è la mia vita ed io son solo al mondo.
Buongiorno a tutti, sono Enzo Tomaselli studente del primo anno al master in Lingua letteratura e civiltà italiana presso l’Università della Svizzera italiana. Quello che avete appena sentito era un breve estratto da Pianissimo, una raccolta di poesie di Camillo Sbarbaro.
Sbarbaro, per chi non lo conoscesse è un autore italiano nato in Liguria, nel 1888, contemporaneo ed amico di Montale. Pianissimo fu il biglietto da visita che gli rese la notorietà nell’agguerritissimo panorama letterario del 900 italiano.
Si tratta di un’opera pubblicata per la prima volta nel 1914, ma su cui l’autore rimetterà mano più volte, fino agli ultimi mesi prima di morire. Montale paragona questi versi ad un canto che si alza nella notte. Ed effettivamente un forte senso di solitudine, di oscurità ed estraneità verso il mondo degli uomini pervade il testo, tanto da far dire al poeta «Ed alcuno non ho nelle cui mani metter le mani con fiducia piena».
Si sente un grido in queste poesie, un grido che è il nostro, quello della nostra società all’apice dell’interconnessione; eppure, dove gli uomini sono terribilmente soli, abbandonati a sé stessi senza amici a cui aprire il cuore. Sbarbaro parla nel nostro disagio a vivere, della fatica del vivere, che ormai non prende più i vecchi ma sempre più i giovani. Egli, come altri importanti autori, ci aiuta in questo: a riflettere sulla nostra presente condizione, con un grido che nonostante venga detto sottovoce, appunto pianissimo, non perde nulla della sua forza.
Al centro della raccolta poetica di Pianissimo c’è il poeta, solo, abbandonato, ormai insensibile al mondo che lo circonda. «Non voglio non desidero, neppure sento» dirà Sbarbaro nel testo, in un mondo dove «il nome dell’amico è nome vano».
Eppure, la più grande paura risiede proprio in questa insensibilità, nella consuetudine e nella monotonia che inorridisce il poeta. Egli allora piuttosto preferisce soffrire, in un disperato tentativo di riscoprire la bellezza della vita. «Poiché sono rassegnato a viver, voglio che ogni ora del dì mi pesi sopra, mi tocchi nella mia carne vitale», scriverà Sbarbaro nel testo.
Lo scontro è tra il desiderio del cuore e l’insoddisfazione, tra le aspettative e la realtà. Una lotta tanto tremenda quanto profondamente umana: impossibile da accantonare semplicemente abbassandone i toni, impossibile da far tacere.
Credo che Pianissimo sia una raccolta meravigliosa, capace di raccontare perfettamente della realtà in cui siamo immersi e che molti, se non tutti, viviamo o abbiamo vissuto nella vita. Leggendolo ci si raccoglie dentro un’atmosfera intima, fatta di riflessione e introspezione; il che ci fa così riscoprire una parte di noi che magari tendiamo a nascondere o di cui ci dimentichiamo nella frenesia delle giornate.
Il libro può essere inoltre il trampolino di lancio per inserirsi nella poesia italiana del Novecento, perché è dotato di una semplicità, ovviamente mai banale o superficiale, che è molto lontana dalla complessità di altri grandi autori. Con Pianissimo siamo capaci d’immergersi perfettamente, e magari per la prima volta, nel tormentato clima culturale del XX secolo.
Spoglio e lineare il suo verso è capace di disegnare, e disegnarci; in poche parole, dure, spietate nella loro chiarezza, tutto il dramma umano del poeta, e forse anche il nostro, è impresso in maniera magistrale sulla pagina.
Sbarbaro, del resto, è una voce fondamentale della poesia italiana, e, anche se apparentemente sommessa, agisce nel profondo e influenza altri grandi, autori Montale per primo.
Concludo con una piccola esperienza di lettura. Ho notato, seguendo il consiglio d'una poetessa, che leggere ad alta voce permette alla poesia d’esplodere in tutta la sua musicalità. Anche se sembra strano leggere ad alta voce, tutti i suoni del testo così facendo vengono alla luce. Provare per credere.
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