Nella settimana appena passata, lo scrittore e giornalista Alessandro Robecchi ha commentato a Kappa la notizia del funerale di Charlie Kirk: molto più di una cerimonia commemorativa, che vista con uno sguardo antropologico diventa subito qualcosa di straniante.
La cerimonia, ha osservato Robecchi, aveva un’estetica «da Super Bowl», e rappresentava una commistione difficile da decifrare: requiem funebre, commemorazione, convention politica, adunata? «Mi sembrava ci fosse qualcosa che non andava», ha detto inizialmente Robecchi. Per poi spiegare che aveva capito che era proprio quella cosa lì: un miscuglio potente e confuso tra religione, politica interna ed estera, istruzione. «Siete pronti a indossare la corazza di Dio?» è una delle frasi pronunciate dal palco che l’ha colpito per l’intensità, ricordandogli atmosfere iraniane, fondamentaliste.
Da europeo laico, si sente distante. «Mi sembra che quest’America si allontani sempre di più», afferma, con una punta di malinconia. Non si riconosce più in quel Paese che, per decenni, ha alimentato l’immaginario collettivo europeo con film, letteratura, cultura pop. Ora, invece, sembra trasfigurato.

Il funerale di Charlie Kirk: tra politica, religione e spettacolo
Kappa e Spalla 23.09.2025, 17:35
Contenuto audio
Il funerale di Kirk è stato descritto da alcuni giornali come un evento a metà tra comizio, messa e pellegrinaggio, illustrata con l’immagine dell’uomo che trasporta una croce gigantesca – con le rotelle. Il titolo del quotidiano Il Manifesto: “Per Kirk, con Kirk, in Kirk nasce la guerra santa Maga” sembrava particolarmente azzeccato, perché coglie il senso profondo di quella cerimonia: la creazione di un martire, con tanto di reliquie, crocifissi macchiati di sangue, paragoni con Cristo. «Mi ha fatto impressione, noi eravamo abituati a sentir parlare di martiri dall’Isis». Robecchi si sente «a metà strada tra quelli con il turbante e quelli con il cappellino rosso. Entrambi dicono: Dio è con me».

Il movimento MAGA dice addio a Charlie Kirk
Telegiornale 22.09.2025, 12:30
Robecchi osserva la simbologia e la scenografia dell’evento: «Era tutto ben fatto, le luci giuste, le inquadrature giuste, bei discorsi. Un eccellente spettacolo americano di prima serata». Ma proprio questa perfezione è inquietante. È come se la politica, la religione e la televisione si fossero fusi in un unico grande show.
Inevitabilmente, la riflessione si chiude con una nota di preoccupazione: se l’evento politico, religioso e televisivo diventano tutt’uno, forse c’è qualcosa di nuovo e pericoloso. «Forse è meglio tornare a fare politica senza troppi lustrini».
https://www.rsi.ch/s/3062516