Ci sono artisti la cui traiettoria espressiva sembra disegnata da un babilonico architetto sonoro, e tra questi vi è senz'altro il nostro ospite di oggi. Un musicista intimamente eclettico e in perenne ricerca di nuove formule creative, di se stesso e del suono ideale, o meglio dello strumento perfetto. Fiorentino, classe 1944, Paolo Tofani si avvicina da autodidatta alla chitarra classica ma passa presto a quella elettrica, strumento che diventerà il suo fedele compagno di viaggio attraverso i territori sterminati del rock, dell'improvvisazione, della musica colta e della cosiddetta world music. È stato e continua ad essere un viaggio straordinario, il suo, guidato da un istinto pionieristico davvero fuori dal comune. Il suo primo vero gruppo sono "I Samurai", con i quali intraprende un percorso artistico e di vita che lo porta a fare la spola tra Italia ed Inghilterra, catapultandosi così nella vitalissima scena internazionale degli anni Sessanta. Dopo una breve esperienza nei "Califfi", altra formazione dedita al rock progressivo, torna in Inghilterra e affianca lavoretti occasionali ad una attività musicale solitaria, all'insegna della sperimentazione, ed entra così in contatto con i personaggi più quotati del momento. Nel 1973 arriva una chiamata decisiva dall'Italia e la nuova esperienza dura quattro anni ma lo segna indelebilmente. Con gli "Area" firma infatti, tra le altre cose, il capolavoro Arbeit macht frei. Tofani lascia quindi il gruppo più politicizzato del momento nel '77, spinto da un irresistibile desiderio di ricerca spirituale che lo spinge a diventare monaco induista. Nel 2009 ritrova Patrizio Fariselli e Ares Tavolazzi per una nuovissima reincarnazione del progetto "Area", e intanto perfeziona una chitarra per il nuovo millennio che battezza "Trikanta Veena". Un'ora è davvero troppo poco per raccontare le sue molte peregrinazioni creative, ma come sempre ci proveremo con spensierata determinazione.
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