Oggi più che mai dopo il lockdown, abbiamo tutti fatto un grande uso delle piattaforme digitali, per lavorare, per guardare film, seguire le lezioni scolastiche e universitarie o varie iniziative on line e quindi abbiamo tutti fatto riferimento ad algoritmi generati da piattaforme, app e siti internet. È indubbio che oggi gli algoritmi, un termine che ci appare sovente ostico, o del quale ignoriamo in realtà il significato, siano sempre più determinanti e pervasivi, perché ognuno di noi ne applica molteplici nella vita di tutti i giorni. Gli algoritmi rappresentano una serie di azioni che applichiamo nel nostro interagire con le macchine, che in quanto tali, non comprendono il nostro linguaggio, ma capiscono invece perfettamente quello logico-matematico. Gli algoritmi sono quindi un insieme di azioni, come quelle che ci servono per fare una ricetta. Ed è attraverso di loro che interagiamo con le macchine. Perché quello che rende i computer così efficaci è proprio la loro capacità di compiere un numero enorme di calcoli in un brevissimo tempo. È dal secondo dopoguerra sino ad oggi, che gli algoritmi sono stati e sono, alla base del funzionamento di qualsiasi macchina digitale, rendendo agibile quello che noi conosciamo come software, che rende cioè utili, le componenti hardware di un computer. Oggi gli algoritmi sono diventati così importanti da influenzare molti aspetti fondamentali del nostro vivere, sia nella nostra dimensione individuale che in quella della società tutta. Tanto che secondo molti, esercitano anche un grande controllo e rappresentano una sorta di dittatura nascosta e silenziosa, che ci condiziona senza rendercene conto.
Ne parliamo con Sabrina Gaito, professore presso dipartimento di informatica dell’Università degli Studi di Milano e Michele Sorice, professore di Innovazione Democratica, di Political Sociology e di Sociologia della comunicazione al Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS “Guido Carli” di Roma, dove dirige il Centre for Conflict and Participation Studies (CCPS). Per oltre 16 anni è stato docente di Sociologia della comunicazione di massa all’Università della Svizzera italiana (USI) di Lugano.