Questa è una puntata un po' particolare del “Giardino di Albert”, non tanto incentrata sulla scienza quanto sulle conseguenze morali di un particolare sviluppo tecnologico, quello delle armi autonome.
Argomento sul quale siamo tornati diverse volte in passato, si riferisce ad armi che per funzionare non hanno bisogno di intervento umano. Da un punto di vista tecnologico, anche se non siamo ancora davanti a scenari con eserciti di robot schierati al posto dei soldati umani, lo sviluppo corre veloce, e può contare su grandi investimenti da parte di tutte le potenze del mondo.
Come in molti casi del passato, però, a una rapida evoluzione tecnologica non fa seguito - o almeno non abbastanza velocemente - la necessaria evoluzione mentale, filosofica ed emotiva.
È pur vero che mentre i governi e i dipartimenti militari di mezzo mondo spendono cifre importanti per la corsa ad armamenti dotati di intelligenza artificiale, un grande numero di scienziati, filosofi e intellettuali si sta interrogando sulle conseguenze che l'avvento delle armi autonome porterebbe nei conflitti di ogni livello.
Tra di essi c'è Guglielmo Tamburrini: professore di filosofia della scienza e della tecnologia all'Università di Napoli Federico II, membro dell'USPID (Unione degli Scienziati per il Disarmo), e particolarmente attivo nell'ambito della robotica e dell'IA. Marco Pagani lo ha incontrato lo scorso ottobre, in occasione di Bergamo Scienza.