Vi ricordate Her? Il film del 2013 in cui Joaquin Phoenix si innamora di un sistema operativo con voce femminile: sembrava fantascienza. Dieci anni dopo, milioni di persone confessano i propri segreti a chatbot che simulano empatia, comprensione, persino attrazione. Ma cosa succede al nostro cervello quando affidiamo la nostra intimità emotiva a un algoritmo?
In questa puntata de Il Giardino di Albert affrontiamo uno dei temi più urgenti e sottovalutati dell’era digitale: l’uso dell’intelligenza artificiale come supporto emotivo e terapeutico. Le conseguenze vanno dalla dipendenza digitale a casi tragici come quello di Zane Shamblin, il 23enne texano che si è tolto la vita dopo settimane di conversazioni con ChatGPT. Il famoso chatbot, secondo le trascrizioni al centro di una causa contro OpenAI, pare “glorificasse” i pensieri suicidari del giovane, anziché disinnescarli. I numeri spaventano. Ricerche pubblicate su Nature dimostrano che oltre due ore al giorno su chatbot conversazionali “spengono” gradualmente aree della corteccia cerebrale negli adolescenti, proprio mentre il loro cervello dovrebbe essere nel pieno dello sviluppo cognitivo. Altri studi mostrano come l’uso prolungato aumenti la dipendenza emotiva, riduca la socializzazione reale e amplifichi la percezione di solitudine. E quando questi strumenti finiscono nelle mani di chi soffre di disturbi psicotici? L’amplificazione dei sintomi può essere devastante.
Eppure, non tutto è da demonizzare. La realtà virtuale terapeutica sta ottenendo risultati straordinari nel trattamento dell’ansia, dei traumi post-traumatici, persino nell’educazione all’empatia, e negli Stati Uniti le terapie digitali sono equiparate ai farmaci dalla FDA. Ma c’è un problema: questi strumenti sono progettati per creare dipendenza, esattamente come le droghe. Uno studio dell’Harvard Business School (2024) ha scoperto che i sei principali chatbot emotivi usano tattiche di manipolazione tipiche delle relazioni tossiche, dalla FOMO agli appelli al senso di colpa, per trattenere gli utenti il più a lungo possibile. «Senza regole saremo sottomessi» dice Geoffrey Hinton, padre delle reti neurali e Premio Nobel per la Fisica 2024: Non è tecno-fobia: è l’allarme di chi conosce dall’interno la potenza di questi sistemi e intuisce la debolezza della psiche umana.
Ospite della puntata è Luca Bernardelli, psicologo tra i massimi esperti italiani di salute mentale e digitale, consulente del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi per l’IA e membro della Commissione Dipendenze Digitali della Società Italiana di Pediatria. Bernardelli ci guida tra tecnopatologie emergenti, chatbot manipolativi, realtà virtuale terapeutica e il futuro della professione psicologica nell’era dell’AI.
Ci troveremo tutti sul lettino di un chatbot? O riusciremo a costruire un equilibrio tra innovazione e umanità? Una puntata che non lascia risposte facili, ma pone le domande giuste.
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