Julie Driscoll
La Recensione

"1969" di Julie Driscoll

di Franco Fabbri

  • Keystone
  • 8.2.2023
  • 20 min
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È stato ripubblicato di recente l’album “1969” di Julie Driscoll, la cantante che sia per le doti vocali non comuni che per l’immagine “glamour” fu uno dei simboli della Londra della fine degli anni Sessanta, la Swingin’ London. Grazie alle foto di Richard Avedon, Driscoll contendeva lo spazio sulle riviste di moda alle modelle più celebri dell’epoca come Jean Shrimpton o Twiggy, ma la differenza è che contemporaneamente contendeva gli ascolti radiofonici o nelle sale da ballo ad Aretha Franklin o Miriam Makeba. Una formidabile cantante jazz e soul bianca.

L’album che recensiamo oggi fu registrato, come suggerisce il titolo, nel 1969, ma pubblicato due anni dopo. Nel ’69 era uscito un altro album di e con Julie Driscoll, “Streetnoise”, l’ultima di una serie di registrazioni prodotte insieme all’organista Brian Auger e al suo gruppo. Ma nell’album successivo le canzoni sono tutte della cantante e chitarrista, e gli accompagnatori sono fra i più famosi esponenti della scena jazz-rock britannica dell’epoca, alcuni dei quali sarebbero stati protagonisti della cosiddetta “scena di Canterbury”. Fra loro il chitarrista Chris Spedding, il sassofonista Elton Dean, il cornettista Mark Charig, il pianista Keith Tippett, che Driscoll avrebbe sposato nel 1970. Il produttore era Giorgio Gomelski (che aveva lavorato anche con i Rolling Stones, con gli Yardbirds, con Brian Auger e Driscoll, e poi con i Soft Machine, i Magma e altri), e il tecnico Eddy Offord (che avrebbe poi lavorato con Emerson, Lake and Palmer, e con gli Yes). Un buon pedigree, no?

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