Pensatelo come volete: un cilindro magico, un pozzo di San Patrizio, un vulcano, una miniera o chissà cos’altro. Però l’archivio che Frank Zappa ha lasciato dietro di sé, una leggenda ormai, denominata “The Vault”, non smette di scodellare sorprese. E verosimilmente non smetterà tanto presto, date le migliaia di ore di registrazioni audio e video accumulate in decenni di carriera musicale. Anzi più che di carriera sarebbe forse meglio dire “lavoro forsennato”.
Il numero degli album usciti dopo la sua morte nel 1993, ha ormai superato quelli pubblicati in vita. E non di rado si è dovuto constatare che in questa inflazione di uscite c’era parecchio calcolo commerciale. Inevitabile forse. Tuttavia da quando l’archivio è stato ceduto a quella megacompany mediatica che è l’Universal e dacché a sovrintendere alle ricerce e ai recuperi è Joe Travers, l’archivista, l’uomo che conosce più cose di Zappa di chiunque altro al mondo, le pubblicazioni sono spesso di alto peso specifico.
È il caso di questo triplo cd (o doppio lp con una selezione di brani) intitolato con understatement quasi filologico “Funky Nothingness”. L’ascolto è come un salto nel tempo: marzo 1970.
L’aria risuona ancora di quella travolgente tempesta perfetta che fu, appena pochi mesi prima, l’uscita di Hot Rats e di Burnt Weeny Sandwich. In queste nullità funky tracima lo Zappa dionisiaco di Hot Rats, alcuni brani inediti mai sentiti prima e assoli irresistibili: suoi, in quello stile chitarristico che cambiò la storia dello strumento, ma anche dell’indimenticato Don “Sugarcane” Harris, il cui violino afroamericano non ha mai trovato eguali.
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