"Odessey and Oracle" dei The Zombies, CBS/Sony (dettaglio di copertina)
La Recensione

Tornano a vivere gli Zombies, per fortuna

The Zombies “Odessey and Oracle”

  • Ieri
  • 14 min
  • Franco Fabbri
  • CBS/Sony discogs.com
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Prima si chiamavano Mustangs, ma molti altri gruppi inglesi avevano quello stesso nome. Così accettarono il suggerimento di uno dei primi membri, e scelsero di essere The Zombies: erano sicuri che nessun altro avrebbe osato chiamarsi così. Furono coinvolti nella British Invasion, ed ebbero anche loro un singolo, She’s Not There, nei primi posti delle classifiche statunitensi, alla fine del 1964.

Nel 1967 erano in crisi, ma ugualmente ottennero un nuovo contratto con la CBS, che affittò per loro uno studio alla EMI di Abbey Road. A luglio entrarono nello studio 3, dopo che ne erano usciti i Pink Floyd, che avevano terminato il primo album. Poco prima nello studio 2 i Beatles avevano finito Sgt. Pepper’s. Allora il primo missaggio si faceva in mono (così era stato anche per quell’album dei Beatles), e poi i tecnici missavano in stereo, ma il budget per la produzione era finito, e non c’erano soldi per pagare anche quell’ultimo passaggio, e così il loro album rimase in mono, e come tale ora è stato ripubblicato: “mono remastered”, riporta la didascalia.

Quando uscì, nel 1968, gli Zombies si erano già sciolti, dopo vari disaccordi personali. Il titolo era Odessey and Oracle (non Odyssey…), con un evidente errore di ortografia, ma dissero che era deliberato per proteggere il grafico, che aveva commesso l’errore ma se ne era accorto troppo tardi (quei disegni psichedelici si facevano a mano…). Tra le sventure ci fu anche qualche colpo di fortuna: ad Abbey Road i Beatles avevano lasciato il loro Mellotron (quello di “Strawberry Fields Forever”) e così gli Zombies poterono usarlo. Si servirono anche dello Studer a quattro piste che era stato utilizzato per Sgt. Pepper’s.

Poi, mentre la CBS americana non sembrava interessata, Al Kooper (l’organista di Dylan a Newport 1965, diventato produttore per la CBS) ascoltò l’album e suggerì di farlo uscire negli USA. Dato che negli Stati Uniti ormai si pubblicavano dischi solo in stereo, gli Zombies dovettero tirare fuori i propri soldi per pagare il missaggio, che non risultò all’altezza di quello in mono. Comunque, nel giro di un po’ di mesi l’ultima traccia del disco, “Time of the Season”, entrò ai primi posti della classifica statunitense dei singoli.

Alla fine, però, gli Zombies non sopravvissero. Il tastierista e autore principale, Rod Argent (che avrebbe proseguito l’attività per qualche anno con un gruppo che portava il suo nome), aprì un negozio di tastiere in Denmark Street, dove c’era stata la Tin Pan Alley londinese, a pochi passi dal distretto dei teatri, quasi di fronte a Foyles, la libreria leggendaria di Charing Cross Road visitata da milioni di lettori-turisti.

Oggi il negozio fondato da Argent (non è più suo) vende spartiti, una rarità. L’album è una godibilissima testimonianza di quel tempo. I musicisti sono bravi, e Rod Argent era uno dei due o tre tastieristi inglesi migliori, prima di Keith Emerson. Le composizioni e gli arrangiamenti al primo ascolto sembrano rimandare ai gruppi che negli anni Ottanta e Novanta strizzavano l’occhio ai Beatles psichedelici (un nome per tutti: gli XTC), ma no, gli Zombies sono dei contemporanei di quei Beatles, dei Beach Boys di Pet Sounds, dei Pink Floyd di Syd Barrett, e il loro album non sfigura nel confronto.

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