C’è stato un tempo in cui, nelle sale da concerto, il vero melomane si distingueva dal dilettante per un piccolo – e a volte non così piccolo – dettaglio: la partitura tenuta sotto braccio. Seguire la musica con un occhio allo spartito era il segno distintivo di una capacità di giudizio sorretta dall’oggettività e per favorire quell’attività, allora guardata con sommo rispetto, in alcuni teatri veniva quindi predisposto, nelle ultime file delle gallerie, un certo numero di sedie sormontate da un fioco lumicino. Negli ultimi anni gli spartiti si sono tramutati in tablet e sempre più di frequente, allo spegnersi delle luci in sala, i nuovi musicofili rispondono accendendo i loro devices. L’inevitabile risposta accigliata dei vicini porta così ad una domanda: ha davvero senso andare al concerto con lo spartito? Davide Fersini e Giovanni Conti ne discutono con il critico del Sole24ore Francesco Maria Colombo e con Gaia Varon, voce storica di Rai Radio Tre.
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