Le organizzazioni mafiose non si muovono solo nell’omertà, hanno anche bisogno di mostrare il loro potere e di fare sentire la propria presenza. In questa epoca sempre più segnata dalla digitalizzazione le mafie si stanno perfezionando anche nell’utilizzo dei social media, per veicolare i loro messaggi ma anche per reclutare nuove forze. Lo fanno ostentando successi, ricchezza e vite in cui non manca mai nulla: auto di lusso, armi dorate, vacanze apparentemente da sogno e abbigliamenti all’ultimo grido. Un mondo a metà strada tra sopraffazione e intrattenimento che può anche affascinare, in particolare i giovani, e dar vita ad una sorta di mondo parallelo che gli esperti chiamano “mafiosfera”, in cui si muovono nuovi tipi di utenti, i cosiddetti “mafiofili”, non affiliati alla criminalità organizzata ma “followers”, simpatizzanti spesso ignari di avere virtualmente a che fare con un mafioso. Un uso dei social media che interpella le grandi piattaforme online ma pure le forze dell’ordine, chiamate a seguire le tracce delle mafie anche nel flusso caotico dei social media. E a sviluppare nuove competenze digitali.
Un fenomeno che riguarda anche il nostro Paese. Ne parlano:
· Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History all’Università di Salerno e autore di un recente studio in materia
· Enzo Ciconte, professore di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia
· Francesco Lepori, giornalista RSI e responsabile operativo dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata
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