Piazza Tienanmen, il giorno dopo il massacro
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Tienanmen: sono passati 30 anni

In Cina non si parla della strage del 4 giugno 1989

  • Keystone
  • 4.6.2019
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L’immagine del giovane in maniche di camicia in piedi di fronte ad un carro armato ha fatto il giro del mondo ed è diventato il simbolo della protesta nei confronti del regime che si cristallizzò in Piazza Tienanmen a Pechino alla fine degli anni ’80. Quella che è invece molto meno conosciuta è la repressione che si consumò nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, quando l'Esercito di Liberazione Popolare aprì il fuoco sui manifestanti e, secondo la comunicazione ufficiale dell’allora ambasciatore britannico, i carri armati passarono ripetutamente sui corpi dei manifestanti. Secondo il regime ci furono 200 morti, diverse migliaia secondo fonti della resistenza.

A 30 anni di distanza il ministro della Difesa cinese, Wei Fenghe, ha definito "corretta" la repressione. "Il governo centrale ha preso misure decise e l'esercito ha preso misure per fermare e calmare i tumulti. Questo è il modo corretto, è la ragione per cui la stabilità del Paese è stata mantenuta", ha dichiarato.

In Cina le commemorazioni della strage sono vietate, la censura è attiva come non mai, ogni commento on line relativo a quegli eventi viene monitorato attentamente, mentre nei libri di testo e di storia quei giorni di protesta, che vanno dal 15 aprile al 4 giugno 1989, di fatto, non esistono.

Quella protesta repressa nel sangue è ormai solo un ricordo “occidentale”? Il regime cinese, fra controllo capillare e prospettive di benessere, è riuscito a vincere ormai ogni resistenza?

Per parlarne a Modem intervengono:

Jean-Philippe Béja, sinologo, ricercatore al CNRS, Centre national de la recherche scientifique;

Federico Masini, professore di lingue e letterature cinese;

Guido Santevecchi, corrispondente a Pechino per il Corriere della Sera e

Intervista registrata al già ambasciatore svizzero a Pechino, Dante Martinelli.

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