Sono trascorsi trent’anni dall’ultimo genocidio compiuto in Europa, eppure il dramma che si consumò nella cittadina bosniaca di Srebrenica resta un buco nero della memoria dell’Occidente.
In quei giorni di luglio del 1995 oltre ottomila uomini e ragazzi perlopiù musulmani furono massacrati dalle milizie serbe al comando del generale Ratko Mladic, in quella che è stata decretata dalle corti internazionali come la peggiore strage europea dalla Seconda guerra mondiale.

Aisa Omerovic, 75 anni, durante il genocidio perse 44 membri della sua famiglia, tra cui il marito e due figli
Ma anche a trent’anni di distanza da quell’orrore, in Bosnia continua a soffiare forte il vento del negazionismo. L’offensiva revisionista serba si è addirittura intensificata in tempi recenti e lo scontro sul passato inquina la vita quotidiana di un paese tuttora in preda ai nazionalismi che soffiano sul fuoco dell’intolleranza.
Alla vigilia del trentennale siamo tornati nella città-martire della Bosnia per incontrare uno dei pochissimi sopravvissuti alle esecuzioni del luglio 1995, che dopo aver vissuto a lungo all’estero ha deciso di tornare a Srebrenica per far sì che la sua testimonianza possa diventare un antidoto al negazionismo.
Srebrenica e la battaglia contro il negazionismo
Laser 14.11.2024, 09:00
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