La nuova stagione del teatro alla Scala si apre un’opera che di rara durezza e nulla speranza. Con una musica modernissima e tagliente, fra squarci lirici intensi e violente esplosioni orchestrali, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič mette in scena la vicenda di una donna oppressa da un ambiente brutale e patriarcale, che precipita in una spirale di omicidi, tradimenti e disperazione. Composta nel 1934 e ispirata alla celebre novella di Leskov, l’opera fu censurata nel 1936 dal regime sovietico, rimaneggiata dall’autore dopo la morte di Stalin e infine, dopo la morte di Šostakovič nel 1975, riscoperta nella sua versione “originale” soprattutto grazie a Rostropovich, diventando così oltre che un manifesto della condizione femminile, anche un simbolo della libertà creativa soffocata dal potere politico.
Per la sua ultima inaugurazione di stagione, Riccardo Chailly ha scelto dunque un titolo scomodo ma anche particolarmente attuale, elementi che saranno scavati anche nella produzione scenica affidata a Vasily Barkhatov, talento registico in ascesa e divisivo, capace di fare di uno spettacolo un dispositivo emotivo implacabile. Saranno le riflessioni dello stesso Chailly e del musicogo Franco Pulcini ad accompagnarci nell’esplorazione della Lady Macbeth del distretto di Mcensk nella prima parte della puntata. Le condizioni dei musicisti nella Russia sovietica sono anche al centro di un volume di cui è stata da poco pubblicata la traduzione italiana, I bemolli di Stalin, che raccoglie e organizza le memorie, le riflessioni e i racconti di del direttore d’orchestra Gennadij Rozdestvenskij.
Ne conversiamo con l’autore, il violinista, regista e scrittore francese, famoso per i suoi documentari su grandi interpreti del Novecento, Bruno Monsaingeon.
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