Stiamo parlando molto di “Anna Bolena” di Donizetti, complice la produzione in questi giorni al LAC, diretta da Diego Fasolis, ancora prevista l’8 e il 10 settembre, e ricostruita con cura filologica e rispetto della partitura e della prassi esecutiva antica. Non bisogna però dimenticare che il pubblico della prima del 1830 affollava il teatro non tanto per la fama di Donizetti, quanto piuttosto per ammirare la grandissima primadonna Giuditta Pasta nel ruolo del titolo. Di fatto la partitura donizettiana nacque per intero nel salotto della grande interprete, fu perfettamente cucita su di lei, sui suoi pregi e sui suoi difetti e dovette il proprio trionfo alle sue doti di interprete e di attrice. Fatto curioso: le partiture che oggi veneriamo come testi sacri, all’epoca erano perlopiù un canovaccio che il compositore modificava per adattarlo alla primadonna del momento – o che la primadonna avrebbe modificato senza chiederne il permesso. Paradossalmente, quelle donne che in scena finivano sempre oppresse, tradite, pazze di dolore, sepolte vive, strangolate, decapitate, emblemi di dolcezza e di passività, nella vita reale erano figure che rivestivano un peso culturale, sociale e perfino politico che oggi fatichiamo a ricostruire, e che per molti aspetti hanno segnato una rappresentazione del femminile che ha attraversato ancora tutto il secolo scorso. Di questo parleranno oggi con Paolo Borgonovo la studiosa di teatro Serena Guarracino e il giornalista e critico musicale Alberto Mattioli, a “Voi che sapete”.
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