Da un anno il nuovo coronavirus domina l’attenzione dei mass media. La pandemia ha congelato molte attività e anche il fenomeno della migrazione in Europa è uscito dai radar. A riportarlo in prima pagina (o quasi) è stato l’emergere delle condizioni in alcuni campi in Bosnia, dove diverse centinaia di migranti sono bloccati al freddo, senza acqua calda e corrente elettrica.
Per loro il viaggio della speranza (perché la Croazia e dunque l’Europa li respingono) si è fermato in un posto dove soltanto alcuni operatori umanitari li assistono mentre il ritorno ai paesi d’origine appare loro improponibile dopo mesi, a volte anni, di sofferenze e privazioni.
Secondo le autorità di Sarajevo, nel corso del 2020, sono entrate in Bosnia poco più di 16’000 persone, altre 11’000 sono state bloccate lungo i confini meridionali. Nei precari centri d’accoglienza bosniaci sono registrati 6’300 migranti il Ministero dell’Interno valuta che altri 1’500 soggiornino in sistemazioni private o vaghino all’aperto, nei boschi o in edifici abbandonati.
Quale futuro per loro? Ne parliamo con:
Hanne Beirens, direttrice del Migration Policy Institute Europe a Bruxelles;
Annalisa Camilli, giornalista e inviata di Internazionale;
Martina Caroni, diritto della migrazione all’Università di Lucerna.
Laura Lungarotti, capomissione in Bosnia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM);
Silvia Maraone, responsabile dei programmi nei Balcani per la Caritas ambrosiana.
Modem su Rete Uno alle 8.20, in replica su Rete Due alle 19.25. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSINews e RSIPlay
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