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The French Dispatch

Il decimo capolavoro del rinomato regista nelle sale ticinesi

  • 19 novembre 2021, 01:00
  • 14 settembre 2023, 09:27

The French Dispatch, la recensione di Michele Serra

RSI Play Top 16.11.2021, 11:43

Di: Michele Serra

È il decimo film di Wes Anderson, ma anche quello che segna i vent'anni dal decollo della sua carriera di regista, avvenuto nel 2001 con il terzo lungometraggio, I Tenebaum. The French Dispatch rappresenta la summa della poetica di uno dei pochi autori rimasti nel cinema americano, uno di quelli che possono permettersi di scritturare star di prima fascia e allo stesso tempo di dribblare con eleganza qualsiasi imposizione mainstream. Ed è, per farla breve, un piccolo trionfo. Ma andiamo con ordine.

Wes Anderson ricorda alcuni stilisti che indossano sempre gli stessi vestiti, impegnati a perfezionare la loro uniforme fino al più piccolo dettaglio: Karl Lagerfeld e i guanti in pelle, Thom Browne e i pantaloni corti, Giorgio Armani e la t-shirt sotto la giacca. Allo stesso modo, Anderson ha lavorato sul suo stile: la sua uniforme si può applicare a personaggi e generi diversi – The French Dispatch, ad esempio, sembra a volte quasi un film d'azione – eppure rimane istantaneamente riconoscibile. Se sia un bene o un male, sta allo spettatore deciderlo.

Rimane il fatto che il suo decimo lungometraggio sia il più andersoniano di tutti, e senza dubbio uno dei più riusciti della sua carriera.

Quando il meccanismo funziona nel modo corretto, tutti gli elementi – dalle immagini simmetriche ai colori pastello, dai costumi rétro alla narrazione in voiceover – risuonano insieme, provocando in chi guarda uno scatto di totalità capace di dare accesso a un significato più alto, maggiore della somma delle parti. Si tratta, nel caso di The French Dispatch, di una dichiarazione d'amore – comica e malinconica come l'amore vero sa essere – nei confronti del cinema e della carta stampata: passioni che improvvisamente appaiono superate dalla storia, eppure ancora divoranti. Lo stratagemma narrativo fondamentale è, come sempre, la caricatura.

Il film è una piccola antologia di tre cortometraggi, tenuti insieme da una cornice narrativa: tutti sono infatti raccontati da giornalisti del French Dispatch, settimanale ispirato – per stessa ammissione dell'autore – allo storico The New Yorker (che ovviamente ha pubblicato un lungo e documentato articolo sull'argomento). Solo che qui non siamo a Manhattan, ma in un paese della provincia francese il cui nome è tutto un programma: Ennui-sur-Blasé. E ci vuole effettivamente tutta la sprezzatura dello spettatore colto e snob, per non farsi prendere dall'entusiasmo quando sullo schermo sfila un'incredibile parata di star: un cast estremo, certo, eppure nessun volto noto sembra buttato nell'inquadratura in modo pretestuoso. E il discorso si può applicare anche al quadro generale: il grande successo di Anderson è riuscire a far procedere un film tanto complesso e vario – con i suoi continui cambiamenti di colore e formato, ad esempio – in modo sorprendentemente naturale.

Certo, è possibile che le recensioni entusiaste che leggerete siano, in qualche modo, influenzate dall'immagine eroica del lavoro di giornalista culturale offerta dal film. Ma anche facendo una simile tara alle parole dei critici, si tratta di un'opera di innegabile potenza, lontana dal manierismo che spesso troppo in fretta si attribuisce al regista.

The French Dispatch (Stati Uniti, Germania, 2021)
Regia: Wes Anderson
Interpreti: Benicio del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet
Durata
: 108'

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